SINDACALISMO RIVOLUZIONARIO E ANARCOSINDACALISMO

Premessa
Parlare dell’attualità e della rilevanza del sindacalismo rivoluzionario e dell’anarcosindacalismo ai giorni nostri richiede, preliminarmente, un paio di messe a punto.
La prima è di carattere terminologico: mentre per quanto riguarda il sindacalismno rivoluzionario c’è un’abbondante letteratura di ricerca e si può darne una definizione abbastanza precisa, per quanto riguarda l’anarcosindacalismo c’è una tendenza, abbastanza diffusa, a considerarlo un’appendice del movimento anarchico, con una caratterizzazione discretamente nebulosa. Tra l’altro si ingenera una discreta confusione con il sindacalismo anarchico o con il sindacalismo degli anarchici che, spesso, si è manifestato (e si manifesta) all’interno di altre organizzazioni sindacali che poco hanno a che spartire con le organizzazioni storiche del sindacalismo rivoluzionario.
Una caratterizzazione utile potrebbe essere quella di parlare di sindacalismo rivoluzionario libertario, che permetterebbe, tra l’altro, di dar conto dell’accentuazione delle tematiche libertarie nelle concezioni rivoluzionarie sindacaliste a partire dallo snodo della Ia guerra mondiale. Un’altra possibilità sarebbe quella di recuperare la definizione di sindacalismo d’azione diretta, ma sarebbe fortemente connotata come un richiamo al syndicalisme d’action direct che fu la peculiare interpretazione (se non la primogenitura) del sindacalismo rivoluzionario in Francia, a cavallo tra ‘800 e ‘900. Comunque, per comodità, nel seguito parleremo di sindacalismo rivoluzionario per le esperienze antecedenti al 1914 e di anarco-sindacalismo per quelle che ebbero rilevanza tra le due guerre mondiali.
La seconda è di carattere metodologico: per poter pensare ad una qualche attualizzazione dei principi e delle pratiche sindacaliste rivoluzionarie è necessario contestualizzare le esperienze storiche al quadro d’insieme – e, nello specifico, al particolare stadio di sviluppo capitalistico-industriale – delle società nelle quali si sono sviluppati. Ad esempio, fabbrichismo e industrialismo che costituirono l’humus delle esperienze sindacaliste rivoluzionarie sono oggi, nelle nostre società “post-industriali” riferimenti anacronistici, mentre la mobilità e la precarietà dei lavoratori che costituirono, ad esempio, il punto di forza dell’IWW, sono oggi più attuali che mai. Sarebbe dunque necessario “distillare” principi, pratiche e forme di lotta da un corpus teorico che per quanto importante è ormai datato. Ma su questo, che è l’argomento centrale di questo scritto, ritorneremo più avanti.

I principi teorico-pratici del sindacalismo rivoluzionario
In realtà la questione è abbastanza complessa dato il convergere di svariate elaborazioni e principi teorici che sono andati a costituire il corpus teorico sindacalista rivoluzionario; elaborazioni e principi originati in contesti nazionali, sociali e culturali specifici, anche se tutti ugualmente impregnati del positivismo determinista di fine ottocento. La fiducia nelle sorti progressive, non già del capitalismo, ma del suo apparato produttivo tecnico considerato “neutro” (così come la scienza che sottostà a tutte le sue realizzazioni) riprendendo in qualche modo la lettura engelsiana di alcune elaborazioni marxiane, è il brodo di cultura delle prime teorizzazioni sindacal-rivoluzionarie.
Il secondo elemento di contesto è il passaggio, in atto, dal primo associazionismo operaio (grosso modo tripartito fra leghe di difesa sindacale, società di mutuo soccorso e cooperative di consumo) al sindacalismo di fabbrica, che determina la coesistenza tra quest’ultimo, il sindacalismo di mestiere propriamente inteso e l’articolazione territoriale e intercategoriale della difesa sindacale (Camere del lavoro).
Il terzo elemento è la rottura politica tra le componenti riformiste ed elettoraliste del movimento socialista internazionale e quelle anarchiche e/o marxiste rivoluzionarie che si realizza in quegli anni, più o meno in tutta Europa, e che si riversa sul terreno sindacale.
Da queste tre premesse derivano, quasi inevitabilmente, diverse importanti caratterizzazioni dell’impianto teorico sindacalista rivoluzionario. La prima è la richiesta di completa autonomia del soggetto sindacale, la sua indipendenza da organizzazioni e forze politiche, la sua alterità rispetto alle istituzioni statuali. La seconda è la sussunzione del piano politico in quello sindacale. In altre parole, la pratica politica rivoluzionaria è sottesa all’azione sindacale pienamente dispiegata. Un unico soggetto e una duplice funzione. La terza è la convinzione che il sindacato rivoluzionario debba avere forti elementi di progettualità sociale, essere in nuce la rappresentazione della società futura in tutte le sue articolazioni produttive, amministrative e gestionarie in genere. La quarta è che l’ovvia arma privilegiata per rovesciare l’esistente sia lo sciopero generale rivoluzionario nella sua versione insurrezionale. Il corollario necessario è l’impiego della violenza rivoluzionaria. Il passaggio logico è questo: se la rivoluzione sarà un atto e non un processo (tramite il lento e legale avvicinamento al potere politico come preconizzato dalle socialdemocrazie) e non sarà semplicemente un colpo di stato giacobino teso a sostituire ai vertici del potere politico la vecchia classe dirigente con le dirigenze di un partito “rivoluzionario” (come avverrà in Russia con il partito bolscevico), la distruzione del vecchio assetto statuale in tutte le sue articolazioni dovrà avvenire con l’esercizio della violenza rivoluzionaria a tutti i livelli per consentire la sua sostituzione con una società di produttori liberamente associati.
Detto ciò e rendendoci conto di aver tratteggiato solo sommariamente il pensiero sindacalista rivoluzionario, ben più ricco e sfaccettato, ripercorriamo, altrettanto sommariamente il pensiero dei suoi teorici.

Walker

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