Breve storia sui crimini italiani in Yugoslavia di Samo Pahor

Con la fine
dell’Austria-Ungheria per gli sloveni                                                        
dei territori occupati dal Regio esercito
e successivamente annessi al
Regno d’Italia ebbe inizio un periodo
definito “venticinque anni di
schiavitù”. I diritti che l’Austria garantiva
ad ogni nazionalità furono
conculcati e soppressi, furono cambiati
i nomi delle località, i cognomi,
abolite le scuole in lingua slovena,
proibito l’uso della lingua slovena
nei rapporti con le autorità, soppresse
le associazioni culturali, sportive
ed economiche.

Già nel 1924 ebbe origine un’organizzazione
clandestina col proposito
di promuovere la resistenza a quel
procedere dello Stato italiano che
aveva come fine la “bonifica etnica”
ossia la cancellazione della comunità
slovena. Dopo una crisi l’organizzazione
fu ricostituita nel 1927 e
per il peggioramento della situazione
della comunità ebbe una maggiore
diffusione. Nel 1929 l’organizzazione,
indicata in qualche documento
come Movimento nazionale rivoluzionario
degli Sloveni e dei Croati
della Venezia Giulia ma comunemente
indicata con la sigla TIGR, si
collegò con la Concentrazione antifascista
di Parigi, nel 1931 concluse
un patto con il movimento Giustizia
e Libertà e il 15 dicembre 1935
firmò un accordo con il Partito Comunista
d’Italia. In collaborazione
con gli antifascisti italiani l’organizzazione
curò l’emigrazione clandestina
degli attivisti antifascisti italiani
e l’introduzione della stampa clandestina
italiana in Italia. Per conto
proprio l’organizzazione promosse
alcune manifestazioni di protesta come
l’incendio di scuole elementari e
materne dalle quali fu bandita la lingua
slovena, l’uccisione di alcuni
sloveni collaboratori del fascismo, la
distribuzione di stampa clandestina,
la raccolta di armi.
Verso la fine degli Anni Trenta diventarono
più intensi i contatti con il
Partito comunista e fu instaurato un
collegamento con i servizi segreti
britannici.
L’organizzazione subì due duri colpi.
Il primo portò al processo davanti
al Tribunale Speciale per la difesa
dello Stato del 1930 che finì con la
fucilazione di quattro condannati, il
secondo portò al processo davanti al
Tribunale Speciale del 1941 che finì
con la fucilazione di cinque condannati.
Può essere considerato ultimo processo
subito dagli appartenenti o
collaboratori dell’organizzazione TIGR
quello che è finito con la fucilazione
di cinque condannati qui a
Forte Bravetta il 24 ottobre 1942:
Anton Grzˇina, Vincenc Hrvatin,
Jozˇef Rojc, Franc Vicˇicˇ, Jozˇef Zˇ efrin.
Con l’entrata in guerra dell’Italia agli
sloveni della Venezia Giulia si è presentata
una nuova possibilità di operare
per la liberazione dalla oppressione
dello Stato italiano. Infatti i militari
“allogeni” presi prigionieri o arresisi
sul fronte libico si sono dichiarati
disponibili a prendere parte ai
combattimenti dalla parte degli Alleati
e un primo gruppo è stato inserito
all’inizio del 1941 nella brigata
autonoma di fucilieri dei Carpazi polacca
(Samodzielna brygada strzelcov
karpackich) ed ha partecipato ai
combattimenti nella zona di Tobruk.
Con l’aggressione alla Jugoslavia del
6 aprile 1941 ebbe inizio un nuovo
capitolo.
Il movimento di liberazione nazionale
sloveno, che ebbe il suo centro a
Lubiana, si sviluppò fin dall’estate
1941 anche nella Venezia Giulia,
dove le condizioni erano particolarmente
difficili perché i potenziali
aderenti erano già confinati o internati
o sotto sorveglianza e molti anche
sotto le armi, dove venivano
concentrati in compagnie speciali lavoratori.
Per l’attività dei primi minuscoli reparti
già nel febbraio 1942 furono
costituiti dieci speciali nuclei per la
lotta antipartigiana e nella zona sono
stati inviati dei funzionari dell’Ispettorato
generale di polizia per i servizi
di guerra in quanto il Ministero
dell’interno paventava che i partigiani
«trovassero comode connivenze
tra la popolazione locale quasi
esclusivamente slava».
Nel marzo 1942 è sorta l’idea di
creare delle “squadriglie mobili di
polizia”. Nello stesso mese fu costituito
a Vipacco (Vipava) il primo nucleo
mobile di polizia e il 7 aprile fu
istituito il “nucleo di Trieste” dell’Ispettorato
generale di polizia per i
servizi di guerra con il compito di
coordinare l’attività antipartigiana.
Verso la fine di marzo il numero dei
partigiani salì a oltre sessanta per
l’afflusso di un gruppo di sloveni della
Venezia Giulia che negli anni passati
sono emigrati in Jugoslavia. Il 9
aprile 1942 la maggior parte dei partigiani
si è concentrata sul monte
Nanos a 25 chilometri da Trieste e a
32 chilometri da Gorizia. Lo stesso
giorno le autorità italiane furono
informate di questo concentramento
e nel corso di una settimana fu preparato
il piano per il loro annientamento.
Settecentosettanta militarisuddivisi in due gruppi dovevano accerchiare
il monte e altri 686 militari
dovevano attaccare i circa cinquanta
partigiani. Il combattimento ebbe
inizio verso le otto del mattino e
durò circa sette ore. La maggior parte
del reparto riuscì a sganciarsi
mentre un nucleo tratteneva gli attaccanti
con la resistenza sulla quota
866. Cinque partigiani caddero, uno
fu disperso, tredici furono presi prigionieri.
Di questi uno mori in seguito
alle ferite, tre furono condannati a
pene detentive, nove furono condannati
a morte a fucilati in questo forte
sessant’anni fa: Anton Bele, Ivan

ekada, Viljem Dolgan, Leopold
Frank, Jozˇe Hresˇcˇak, Karlo Kaluzˇa,
Pavel Rusˇt, Franc Srebot e Franc
Vicˇicˇ.
Le conseguenze della battaglia di
Nanos sono andate ben al di là delle
dimensioni dello scontro e dell’esito
infausto per il reparto partigiano. Il
21 aprile 1942 i prefetti di Fiume,
Gorizia e Trieste proclamarono il coprifuoco
su un territorio di oltre 2000
chilometri quadrati. Tra il 27 aprile e
il 6 maggio sono entrati in funzione
tre nuclei mobili di polizia, il 21
maggio fu posto a capo dell’attività
antipartigiana l’ispettore generale
Giuseppe Gueli e con ciò fu sostanzialmente
istituito quell’Ispettorato
generale e poi speciale di pubblica
sicurezza per la Venezia Giulia che
si è reso tristemente famoso per le
torture alle persone arrestate.
Il 5 giugno 1942 fu deciso di costituire
il XXIII corpo d’armata con le
divisioni “Veneto” e “Novara”, tra il
10 giugno e il 1° agosto 1942 furono
costituiti altri tredici nuclei mobili di
polizia. Il 31 luglio 1942 è intervenuto
lo stesso Benito Mussolini che a
Gorizia ha tuonato dal balcone del
Comando della zona militare: «Contro
coloro che al di qua o al di là dell’antico
confine ancora accarezzano
sogni malati sarà applicata, come già
si sta applicando, l’inflessibile legge
di Roma».
Ne subì le conseguenze anche la popolazione
civile. Il 4 giugno 1942 furono
fucilati nella zona di Villa del
Nevoso (Ilirska Bistrica) 28 civili ed
impiccati 2, furono bruciati sei paesi
e deportate 462 persone, il 21 luglio
1942 furono fucilati a Podgricˇ 6 persone
e bruciate 11 case, l’8 agosto
1942 fu saccheggiato e bruciato il
paese di Ustje, dopo che furono fucilati
otto civili.
Contro tutta questa repressione si
rinvigorì la resistenza. Da maggio a
luglio entrarono nelle file tanti giovani
che nella prima metà di agosto fu
costituito il primo battaglione partigiano
della Venezia Giulia che ebbe
il nome del poeta Simon Gregorcˇicˇ.
Nei mesi successivi il numero dei
partigiani crebbe ancora ed il 24 ottobre
1942 fu costituito Sosˇki odred
(distaccamento dell’Isonzo) su tre
battaglioni. E la crescita continuò: il
19 dicembre 1942 fu costituito il
quarto battaglione del distaccamento,
il 13 febbraio 1943 il distaccamento
fu diviso in due unità su complessivi
sei battaglioni. All’inizio dell’aprile
1943 furono costituite le prime
due brigate partigiane. Il che
comportò il 15 maggio 1943 la costituzione
del XXIV corpo d’armata e
l’impegno di nuove forze sul territorio
metropolitano proprio quando finiva
l’avventura africana.
A questi fatti aggiungiamo alcune
considerazioni per valutare appieno
quanto i quattordici fucilati hanno
fatto. Essi hanno agito contro lo Stato
di cui erano cittadini per riconquistare
i più elementari diritti dell’uomo a
partire dal diritto alla propria identità.
Con questo si sono schierati da
antesignani a favore del ragionamento
per cui i diritti dell’uomo hanno la
precedenza sulla sovranità degli Stati,
ragionamento riconosciuto in sede
internazionale soltanto negli ultimi
anni. E già questo non è poco.
Se a ciò aggiungiamo il coraggio di
imbracciare le armi nel pieno dell’avanzata
delle forze armate dell’Asse,
quando l’alleato più vicino
stava a più di mille chilometri, e il
coraggio di accettare il combattimento
con il nemico trenta volte più
forte, ci corre obbligo di riconoscere
il loro valore.
Degna di menzione è anche la loro
incrollabile fede nella vittoria delle
Nazioni Unite. In quei giorni venivano
distribuiti nella Venezia Giulia
dei volantini, indirizzati ai soldati
italiani, che dicevano: «Capite anche
voi quello che deve oggi capire
ogni cieco, che all’Italia associata
con la Germania toccherà una terribile
sconfitta sul mare, sulla terra ed
in cielo dalle forze unite di Russia,
di Inghilterra e d’America e di tutti i
popoli…».
La loro lotta era coscientemente parte
integrante degli sforzi bellici per la
sconfitta dello schieramento che ha
fatto toccare all’umanità uno dei
punti più bassi. Loro non sono caduti
soltanto per il proprio popolo ma
per la libertà e l’eguaglianza dei popoli
dimostrando che i “sogni malati”
di libertà ed eguaglianza sono più
forti degli “otto milioni di baionette”.
Il loro esempio ci insegna il dovere
di coltivare un’incrollabile fede nei
grandi valori dell’umanità anche nelle
situazioni più nefaste e di impegnarsi
fino in fondo per la loro affermazione.
E pare giusto a questo punto fare propria
una considerazione di don Pietro
Brignoli, cappellano militare, che dopo
avere testimoniato le spietate rappresaglie
italiane contro la popolazione
civile in Slovenia, ha scritto:
«Di tanti e così gravi mali (e son ben
lungi dall’averli enumerati tutti) è
madre la guerra. Spunti quindi il giorno
in cui tutti gli eletti combattano da
eroi contro di essa» (Santa messa per
i miei fucilati, p. 127). 

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