Sulla rivolta della scuola

La protesta del mondo della scuola contro la “riforma Gelmini”, che vede insieme studenti, insegnanti, personale non docente e genitori, e che si estende dalle elementari fino all’università, per quanto a prima vista possa apparire sostanzialmente unitaria, presenta in realtà varie facce e offre più di una chiave di lettura, oltre a porre un certo numero di interrogativi.
Proviamo a partire dalla situazione generale della scuola e dei giovani. La scuola è sempre stata soggetta a riforme, questa non è certo la prima volta. In passato ha già subito dei tagli e delle modifiche. Alcune di queste modifiche l’hanno forse migliorata. Altre sono state sicuramente peggiorative.

Certi problemi non si sono mai voluti o saputi affrontare. Allo stesso tempo, infatti, pur subendo svariate piccole “rivoluzioni”, la scuola ha mantenuto tutta una serie di arcaismi che sembrano del tutto immodificabili. Basti pensare ai programmi, in particolare quelli della scuola media, inferiore e superiore. (Un discorso diverso è da fare sulle elementari, come vedremo più avanti). Ai libri di testo. E poi l’edilizia scolastica, la conformazione delle aule, il sistema educativo che mantiene di fatto un’impostazione gerarchica e autoritaria e una logica basata sul “premio-castigo” (logica che, se andiamo a vedere, informa anche i luoghi di lavoro e l’intera società). Contemporaneamente, la si assimila e la si ingloba all’interno dell’altra logica che da tempo è dominante, quella del “management”, quella del “marketing”, cioè del prodotto, del profitto e quindi della merce, logica anche questa che si estende su tutta la società, una società che ha mercificato ormai ogni cosa, anche i diritti minimi ed essenziali (la casa, il reddito, la salute…).

L’attuale assetto sociale-politico-economico nel suo complesso, da alcuni anni a questa parte, esclude i giovani, precarizzando il lavoro e quindi la loro stessa vita, il loro futuro (che è il futuro di tutti!), sembra volergli negare la possibilità di diventare adulti, di avere una famiglia propria, una propria abitazione. E’ una società che ritarda il pensionamento dei lavoratori anziani, che è restia pertanto a far entrare i giovani nel mondo del lavoro, nel mondo della ricerca, dello studio applicato e messo a frutto e non fine a se stesso, nel mondo della politica, e ovunque si prendano decisioni o si possa interagire in qualche modo con i vari aspetti e problemi che compongono la realtà. Le decisioni che riguardano i giovani, vengono prese totalmente senza di loro. Del resto questo è altrettanto vero per le decisioni che riguardano tutti, anche se il sistema delle rappresentanza e della delega dissimula molto bene questo fatto e lascia credere che in realtà tutti si partecipi e si possa decidere, in questo tipo di assetto socio-politico, delle proprie vite e delle cose che ci riguardano.

Potremmo allora chiederci: si tratta forse di una presa di coscienza e di una protesta nei confronti dell’intero impianto socio-politico, di una ribellione a questo mercato globale a cui tutti siamo asserviti? Ci troviamo di fronte ad una lotta per un futuro diverso? Un futuro migliore per tutti, non dedicato soltanto a soddisfare gli interessi e i profitti di pochi? Un futuro più giusto, più equo e più libero? Tutto ciò potrebbe avere un senso, e la “rivolta degli studenti” dovrebbe allora sorprendere piacevolmente, anziché essere criminalizzata, come avviene da parte di alcuni. Anche qualora si trattasse di una lotta non volta necessariamente a un cambiamento radicale e profondo, ma limitata a vedersi riconoscere perlomeno le stesse possibilità che sono state offerte a generazioni precedenti, sarebbe in ogni caso positiva. L’esistenza in sé del resto sta diventando sempre più difficile e incerta un po’ per tutte le classi di età e per sempre più ampi strati sociali. E i giovani potrebbero aver deciso di farsi carico, come in altre epoche è già avvenuto, con più o meno consapevolezza, di una messa in crisi o di un tentativo di capovolgimento dell’assetto e dei dis-valori attuali. Potrebbero volerlo fare solo a proprio nome, in contrasto quindi con il mondo adulto o una sua parte, o forse invece a nome di tutti. Ci può stare? Può trattarsi di questo? O riguarda invece soltanto i punti specifici della riforma della scuola?   

Questa “riforma” – che riforma non è – è semplicemente l’applicazione delle direttive contenute nella finanziaria Tremonti, direttive che sono già note da alcuni mesi, per cui appare per lo meno singolare che la protesta esploda soltanto ora. E’ una “riforma” che investe particolarmente la scuola elementare, quella che in misura maggiore aveva

beneficiato di cambiamenti profondi che si sono poi rivelati nel corso degli anni molto positivi. Come tutti ben sanno, si vuole tornare al maestro unico e ridurre di fatto drasticamente il tempo pieno (questo perché si vogliono ridurre i posti di lavoro), quel tempo pieno che aveva offerto invece un insegnamento di buon livello, e non si era trattato soltanto di un “parcheggio” per i figli delle madri lavoratrici, oltre a questioni obiettivamente meno importanti come il voto o il grembiule. (In sostanza si tratta di risparmi, di tagli mascherati da riforma, con piccoli “correttivi” su questioni marginali, anche se non del tutto prive di significato). In grande rischio appare poi l’università, indirizzata alla totale privatizzazione (proponendo di trasformarla in fondazione), all’esclusione del prezioso lavoro svolto dal personale precario, mentre non si toccano di certo le caste e i privilegi di sempre. La scuola secondaria è meno coinvolta, per quanto sia comunque prevista una riduzione delle ore di insegnamento.

Che di una riforma vera e seria della scuola ci sia bisogno, così come di utilizzare al meglio le risorse, questo nessuno lo nega. Ma ciò che questo governo ha deciso unilateralmente di fare, con scarsa competenza e coscienza, è ben altro! Non sono solo tagli, è di peggio e di più, o per meglio dire è molto meno, si tratta infatti di un grave arretramento e impoverimento, in tutti i sensi, che va a colpire in primis gli studenti più giovani e alla fine un po’ tutti. L’opposizione contesta, e sembra non voler ricordare né a se stessa né agli altri i suoi precedenti interventi sulla scuola e l’università, non tutti lodevoli.

L’adesione alla protesta dei partiti di centro-sinistra e dei sindacati di stato desta più di un interrogativo. La si vuole trasformare nel solito scontro tra governo e opposizione? Tra “progressisti” e “conservatori”? E’ una semplice questione sindacale da risolvere con uno dei tanti accordi sulla nostra pelle?  E’ una lotta da cavalcare per fini elettorali?
Gli studenti in realtà sono scesi in lotta in modo autonomo e indipendente, questo è ciò che appare e che dicono, e non vogliono dare una coloritura partitica, alla loro protesta. Ma è inevitabile che ci sia già, o ci sarà presto, chi si attrezzerà per farlo.

Infine, questo movimento è un qualcosa che può farci ricordare – anche se con tutte le dovute differenze – il Sessantotto? C’è una voglia autentica di rinnovamento? Una critica profonda dell’attuale società? O è solo incertezza, paura del futuro? Oppure quello che circonda questo movimento ci ricorda piuttosto le asprezze del settantasette, gli scontri di piazza, le provocazioni e l’ambiguità dei poteri dello Stato? E’ possibile vedere studenti e lavoratori lottare insieme per migliorare le condizioni e le prospettive di vita, e darsi sostegno l’un l’altro?

La storia non si ripete mai uguale, ma la storia insegna, soprattutto a riflettere. E ora è di certo presto per avere tutte le risposte, è prematuro trarre delle conclusioni, dobbiamo ancora vedere come andrà a finire, specialmente ora che la “Gelmini” è diventata legge. Dobbiamo ancora capire fino in fondo i contenuti del movimento, riconoscere cosa c’è – se qualcosa davvero c’è – che ha la possibilità di mettere delle radici, la capacità di non essere contaminato o disperso in fretta da una folata di vento né il rischio di estinguersi da sé.

C’è la possibilità di non ricalcare vecchi schemi, di non ricadere in vecchie trappole, di non darsi per vinti. 

C’è la possibilità di non sprecare questa situazione così ricca di premesse.

C’è la possibilità, anche e soprattutto, di riprendere in mano le proprie vite, agendo in piena coscienza e autonomia, di appropriarsi in qualche modo di ciò che di fatto ci appartiene.

C’è la possibilità, a partire dalla scuola, di lottare contro tagli, privatizzazioni e logiche di mercato, ma con la consapevolezza di non dover delegare tutto allo Stato, iniziando a pensare ad una società profondamente diversa, fondata sulla cooperazione e la solidarietà di liberi ed uguali.

Se il futuro è ancora da scrivere, dietro l’angolo potrebbe attenderci una svolta. Potrebbe esserci un’occasione da cogliere. E questo dipende da tutti quanti noi.

 

Guido Baroero USI liguria

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