Sulla legittimità dello sciopero degli scrutini
Ovvero: tutto quello che i sindacati complici sanno ma che – con la complicità dei media – non vi diranno mai.
Uno dei principali responsabili della deriva autoritaria nella quale sta andando la scuola italiana ha, recentemente, consigliato il suo successore (appartenente al medesimo partito) nonché ideatore del ddl che – nella neolingua renziana – viene definito #buonascuola che – per vincere le resistenze degli insegnanti – è necessario dividere i sindacati: cosa che si sta, puntualmente, verificando.
Luigi Berlinguer – “non potendo più dare cattivo esempio” – come direbbe De Andrè – si limita a “dispensare buoni consigli”. Analizziamo, nel dettaglio, queste “perle normative”, che – in perfetta continuità con la storia recente del PDS, DS, PD – hanno consentito a Renzi/Giannini di portare a compimento la “controrivoluzione culturale” iniziata – sul finire del secondo millennio – dai governi Prodi/D’Alema ed incardinato nel duo ministeriale diessino Berlinguer/Bassanini:
• Autonomia scolastica: legge n. 59/97 cd. Bassanini;
• D. lgsl. 6 marzo 1998 n. 59: che ha istituito (integrando il decreto lgsl. N. 29/93) la Dirigenza ai direttori didattici (molti dei quali sono entrati nei ruoli con il semplice diploma magistrale) e presidi previa frequenza a dei corsetti di 500 ore dai quali nessuno è stato bocciato (il famoso e decantato “merito” attribuito e conseguito in virtù della semplice presenza);
• La modifica del Titolo V della Costituzione che, attribuendo alle singole regioni pieno ed ampio potere di legislazione concorrente, ha spianato la strada agli Albi regionali docenti contenuti nel ddl Renzi/Giannini.
Tutto questo sconquasso, però, non sarebbe stato possibile se i lavoratori e le lavoratrici della scuola non fossero stati preventivamente messi in condizione di non dare fastidio al manovratore/governo di turno.
E’ una storia lunga che proveremo a sintetizzare.
Tutto ha inizio nel biennio 1988/89 quando l’intero mondo della scuola è in subbuglio e si concretizzano 2 elementi che troviamo – sia pure in forma diversa – anche oggi:
1. Una estrema e diffusa sfiducia nelle istituzioni;
2. Un’altrettanto determinata rivolta contro le burocrazie confederali.
E in questo contesto che nascono e si diffondono – nella quasi totalità delle scuole – i Comitati di BASe – in sigla CO-BAS nei quali sono presenti tutte le componenti sociali e politiche (anarchici compresi) che non si riconoscono nell’ufficialità (sia essa sindacale o politica). La tattica scelta – quella dello sciopero degli scrutini ad oltranza – consente loro di ottenere il massimo danno sociale possibile a fronte di un costo per gli scioperanti ragionevolmente basso: è sufficiente un unico docente – a rotazione – per inficiare il principio del collegio perfetto – che è alla base dello scrutinio – e per rimandare all’infinito la chiusura dell’anno scolastico. Il 1989 è l’anno della svolta perché – grazie ad un’intuizione del fondatore di Gilda: Sandro Gigliotti – un gruppetto di CO-BAS organizzati nel Gilda firmano, a sorpresa, un accordo con il governo che – tra le altre cose – prevede:
1. la fissazione per legge di un tetto massimo di 25 alunni per classe;
2. la stabilizzazione di 30.000 docenti;
3. l’incremento salariale del 42% (nel corso di due anni): un professore di scuola superiore con un minimo di dodici anni di anzianità avrebbe guadagnato ben 564.000 lire lorde in più ogni mese!
E’ il primo segnale di cedimento dell’unità sindacale autogestita dal basso che – negli anni successivi – diventerà una vera e propria guerra per la conquista dell’egemonia e di cui si avvantaggerà – in ultima analisi – il sindacalismo confederale fino a quel momento aspramente combattuto e screditato.
La CGIL, inizialmente, quel contratto non lo firma (a parole vuole di più): lo firmerà qualche mese dopo ma, intanto, prepara la rivincita … che inizia con gli accordi anti-sciopero culminati nella legge 146/90 poi recepita in pejus in un protocollo d’intesa che – in assenza del CCNL – fu sottoscritto dai sindacati “complici” il 25 luglio del ’91.
Questo “protocollo d’intesa” – che inaugura, di fatto, la lunga stagione della concertazione bruscamente interrotta dal decisionismo renziano – indicava limiti ben più pesanti di quelli prescritti dalle legge 146/90 tra i quali spicca la proibizione assoluta di ogni blocco durante gli scrutini finali. Probabilmente è a questo “protocollo” che si riferisce il “garante” degli scioperi nei servizi pubblici – Roberto Alessi – quando – per ignoranza o malafede – (stra)parla di blocco degli scrutini “illegittimo” e di precettazione.
Il decennio d’oro della concertazione è il 1991/2001: in quegli anni la CGIL scuola (si chiamava ancora così) era diretta da un preside (tale Enrico Panini) e dalla pagina web ufficiale vi erano “fior di dirigenti sindacali” che si vantavano pubblicamente di “fare le leggi”: quelle stesse che abbiamo elencato in precedenza e che trovano il loro, naturale, epilogo nel ddl Renzi/Giannini.
Ma torniamo al “protocollo”.
Nel giugno del ’92 un nutrito drappello di docenti aderenti ai sindacati di base (cobas, gilda ecc) scioperarono durante gli scrutini disobbedendo a quello che ritenevano un accordo illegale e alla, conseguente, precettazione. Per questo motivo furono puniti con una sanzione pecuniaria prevista dall’art. 9, comma 10, della legge 146/90. Al termine di una battaglia giudiziaria – durata 6 anni – il pretore civile di Milano (sentenza depositata il 6/11/98 che, a sua volta, rinvia all’udienza del 30 giugno ’98 della Corte di Cassazione – sezione civile n. 11171/98 R.G.N. 4341/96) dà ragione agli scioperanti respingendo, contestualmente, il ricorso presentato dal ministero dell’istruzione avverso la sentenza del pretore di Milano (in funzione di giudice del lavoro) annullando – poiché illegittima – la sanzione pecuniaria nei confronti di una docente che, astenendosi dal lavoro durante gli scrutini, aveva disobbedito all’ordine di precettazione disposta con un’ordinanza dal Dipartimento della funzione pubblica.
Dopo questa “scoppola” giudiziaria i sindacati “complici” corsero ai ripari “codificando” il sistema nel CCNL siglato il 26 maggio 1999. La, successiva, legge 83/2000 ha “armonizzato” il tutto. Ecco il testo integrale dell’art. 4, comma 4 lettere g e h dell’allegato al CCNL relativo all’attuazione della legge 146/90 e 83/2000:
g) gli scioperi proclamati e concomitanti con le giornate nelle quali è prevista l’effettuazione degli scrutini trimestrali o quadrimestrali non finali non devono comunque comportare un differimento della conclusione delle operazioni di detti scrutini superiore a 5 giorni rispetto alle scadenze fissate dal calendario scolastico;
h) gli scioperi proclamati e concomitanti con le giornate nelle quali è prevista l’effettuazione degli scrutini finali non devono differirne la conclusione nei soli casi in cui il compimento dell’attività valutativa sia propedeutico allo svolgimento degli esami conclusivi dei cicli di istruzione. Negli altri casi, i predetti scioperi non devono comunque comportare un differimento delle operazioni di scrutinio superiore a 5 giorni rispetto alla scadenza programmata della conclusione;
Concludendo: al netto dei silenzi confederali (ai quali vanno aggiunti quelli di snals e gilda) e delle omissioni informative lo sciopero degli scrutini è perfettamente legittimo se esplicitato nei termini concordati dai sindacati … “complici”.
In assenza di azioni coraggiose e “illegittime” (perché tale sarà considerata – dal potere costituito – ogni azione di lotta veramente incisiva e, potenzialmente, vincente) dubitiamo molto che si possa ottenere il risultato auspicato: ovvero il ritiro – senza “se” e senza “ma” del ddl Renzi/Giannini.
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