Sabotare la valutazione

Nelle ultime settimane gli attacchi al DDL “Buona Scuola” si sono moltiplicati ed hanno assunto forme svariate di lotta: dai flash mob all’autorganizzazione, passando per la proclamazione di scioperi di settore. Eppure, al di là della lotta condotta nelle piazze che pure è stata rumorosa e determinata, una manifestazione di dissenso su tutte ha raccolto le ire del Ministro dell’istruzione Giannini, di Matteo Renzi e del sottosegretario Faraone: il boicottaggio delle prove invalsi.

C’è da sottolineare che su tale versante CGIL, CISL e UIL non hanno aperto bocca; mentre altre sigle sindacali hanno lanciato una campagna di boicottaggio che si è unita alla protesta spontanea dei comitati di base di insegnanti e studenti. A quanto pare, il boicottaggio ha avuto successo, tanto da essere stato definito da tutto l’apparato di potere che circonda il Ministero della Pubblica Istruzione “inaccettabile”. Infatti, immediatamente, il trio Renzi, Giannini, Faraone si è precipitato sugli schermi televisivi a tenere lezioni di “buona scuola” ed “educazione civica”, ingenerando anche un meccanismo repressivo contro chi ha scelto di non andare a scuola o non svolgere la prova nazionale. Molti Dirigenti hanno minacciato sospensioni, abbassamento del voto di condotta, hanno serrato le fila del nuovo apparato poliziesco che presidierà i futuri istituti scolastici. Eppure qualcosa si è mosso. Al di là del nuovo protagonismo espresso dai docenti e dagli studenti; al di là delle pratiche di autodeterminazione che si sono messe in moto, emerge anche un altro dato positivo, quello di aver individuato il punto debole di tutta la macchina organizzativa su cui si fonda “La Buona Scuola” e non solo.

 

Più volte si è evidenziato che la riforma scolastica del governo Renzi non è esclusivamente una formula autoritaria che ricade su studenti e docenti più o meno resistenti all’innovazione a tutti i costi, bensì un disegno più complesso che mira a porre le basi per un modello di società specifico. Un progetto che si incarna perfettamente nelle maglie del “Jobs Act” e che vuole portare all’accettazione incondizionata delle nuove concezioni strumentali del “lavoro”, cha da “salariato” va modificando il suo assetto strutturale in “smisurato”. Si tratta di una mutazione del lavoro che pervade indistintamente il tempo di lavoro e assorbe l’esistenza degli individui in una tensione continua verso il lavoro stesso che, nel generalizzarsi della precarietà, trasforma l’intermittenza lavorativa in impermanenza: un flusso perenne di vita lavorata, alienata, reificata, che spesso non porta reddito ma è comunque semina obbligata, continua, in ogni contesto, della speranza di essere occupati. Ecco, dunque, comparire nel DDL “Buona Scuola” i progetti di alternanza scuola/lavoro; l’esaltazione del merito e della competitività. Tali aspetti della riforma costituiscono un ponte diretto verso un mondo del lavoro “a tutele crescenti” e servitù permanenti; un ponte che dovranno percorrere soggetti capaci di essere conformi al rischio e alla logica di impresa, come nuovo stile di vita obbligato.

Ebbene, uno dei dati che più rende immanente e perdurante la nuova concezione “smisurata” del lavoro è la continua valutazione; una nuova forma poliziesca di governance che restituisce vigore ed essenza agli apparati statali i quali hanno abdicato in favore del mercato le proprie scelte politiche ed economiche. Dotarsi di reti, strutture ed istituzioni per valutare rimette lo Stato al centro di alcuni processi sociali; garantisce la gestione di fondi e la possibilità di assegnare posti di lavoro; rigenera, inoltre, un meccanismo, quello statale appunto, che si è svuotato di altri significatiche non siano meramente tecnici o repressivi.
Ecco perché il boicottaggio delle invalsi ha costituito un smacco alquanto grave per l’apparato istituzionale che ruota intorno al Ministero della Pubblica Istruzione. Gli studenti e gli insegnanti impegnati in questa forma di lotta hanno evidenziato come il rifiuto, l’obiezione, la disobbedienza possano inficiare il funzionamento di un intero meccanismo. Rifiutarsi di valutare e di essere valutati significa sabotare alla base le funzioni sociali di esclusiva trasmissione di dati o di ordini cui si è relegati.

Significa riaffermare l’essenza delle identità che si sentono proprie e non quelle di cui veniamo vestiti. Proviamo ad immaginare una scuola senza valutazione, ad esempio. Ciò non eliminerebbe l’apprendimento, la crescita e l’emancipazione individuale, anzi restituirebbe spessore e qualità alla sperimentazione e al miglioramento cosciente di se stessi, elementi che dovrebbero essere alla base di processi educativi liberi e consapevoli. Invece, la valutazione è la parola d’ordine di questa riforma; è la parola d’ordine di un nuovo assetto sociale. Attaccare direttamente i suoi criteri, autorganizzarsi per sabotarne i meccanismi dovrebbe essere l’orizzonte delle nuove forme di lotta contro il capitale e in favore di una scuola “pubblica” e non statale. Si è dimostrato attraverso il boicottaggio delle invalsi che la prosecuzione della lotta contro la Buona Scuola è possibile in modo autorganizzato, cosciente, collettivo e determinato. Individuare strategie di continuità su questo percorso, anche a lungo termine, potrebbe costituire uno strumento organizzativo efficace non solo contro il nuovo modello di scuola che si va delineando, ma anche contro il conseguente modello di società che ne scaturirebbe. Rifiutarsi, ad esempio, in maniera diffusa e capillare dal prossimo anno scolastico di apporre un numero, un voto, agli elaborati degli studenti potrebbe essere una nuova manifestazione di dissenso collettivo.

Ciò non significherebbe non svolgere il proprio lavoro di insegnante, in quanto l’elaborato verrebbe ugualmente corretto, condiviso e spiegato nelle sue eventuali imperfezioni. Si obietterebbe soltanto a quei criteri di assoggettamento su cui tutta la riforma si basa. Da questo punto di vista la prima lezione ce l’hanno data gli studenti, sta ora a chi è tenuto ad accompagnarli nella crescita cogliere l’importanza e l’originalità del loro messaggio.

 

G. M.

Articolo pubblicato sul settimanale Umanità Nova

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