Le mozioni del Congresso 2015

La natura della crisi in atto, quali ricadute prossime e future?

Da parecchi anni sentiamo parlare di “crisi”.

Senza dubbio è in atto una crisi economica particolare e prolungata sulla cui natura esistono interpretazioni diverse (crisi artificiale, crisi strutturale, crisi conseguente alla crisi finanziaria).

Ma “crisi” è anche la parola magica di cui si servono padroni e governi per precarizzare sempre più la vita dei lavoratori, per limitare (se non annullare) i diritti conquistati negli anni di lotte, per riorganizzazione in senso sempre più rigido e repressivo il dominio dell’economia e della finanza su gran parte della popolazione.

Probabilmente in Italia questa fase di ristrutturazione del potere economico non è ancora arrivata all’apice, e ancora più gravi e pesanti saranno le conseguenze che la classe lavoratrice dovrà pagare: aumenterà la “working poor” (cioè l’entrata dei lavoratori nella fascia di povertà con salari da fame e aumento emergenziale dei senza tetto).

Occorre cominciare a prenderne atto e ad organizzare lavoratori e classe emarginata.

Ci sentiamo inoltre di sperare che questa crisi possa smascherare il più possibile tra i nostri compagni di lavoro l’ipocrisia di questo sistema, che possa spronare a riprendere un sano conflitto sociale ripartendo dai presupposti antichi, ossia che i nostri interessi e le nostre pratiche divergono “naturalmente” da quelle dei ricchi e dei potenti e che quindi anche il loro universo valoriale e culturale è da rifiutare ed a questo occorre contrapporne un altro, egualitario e dignitoso.

 

 

Analisi della riduzione dei diritti e delle conquiste della classe lavoratrice, delle privatizzazioni in tutti i campi, dell’annientamento di tutte le forme di organizzazione dei lavoratori e lavoratrici e della loro rappresentanza sindacale, strategia di conflittualità per un valido ostacolo contro lo strapotere delle classi dominanti: nelle politiche contrattuali, nelle forme dell’autorganizzazione, nella questione del reddito e dell’occupazione, delle politiche energetiche e nella difesa dell’ambiente e del territorio.

In Italia, il pensiero unico liberista sempre più manifesta le sue tendenze egemoniche, non accontentandosi più di “limitare” le conquiste dei lavoratori, ma, anzi, con la scusa strumentale della crisi che, paradossalmente, proprio le sue stesse pratiche ha creato, prova oggi ad annichilire definitivamente quello slancio generoso del movimento dei lavoratori, iniziato dalla metà dell’ 800. Purtroppo, trova di fronte un terreno favorevole: le istanze del potere e del capitale, che sempre si accompagnano, hanno col tempo scavato profondamente sul senso di appartenenza classista, sulla pratica solidaristica tra sfruttati e, soprattutto, hanno eliminato una sincera prospettiva utopica nei lavoratori.

È necessaria una battaglia culturale che miri a far ricomprendere i valori e l’appartenenza alla stessa medesima classe, la sua pratica solidaristica e la prospettiva di realizzare un mondo nuovo. La lotta di classe mossa dalla classe padronale ha mirato a convincere le classi avverse di non aver ragione di esistere e di essere tutti sula stessa barca. Questa loro strategia, al momento, ha prodotto per loro buoni risultati. Non siamo sulla stessa barca, rappresentiamo interessi diversi: noi degli sfruttati, loro degli sfruttatori parti incompatibili.

Ma i nostri valori, le nostre pratiche, non hanno perso la loro validità: resta che noi abbiamo ragione, e un giorno vinceremo.

[…] La scommessa di un sindacato libertario, capace di portare la propria pratica e la propria aspirazione tra i lavoratori, al momento, vista la situazione numerica e la presenza nella conflittualità sociale, appare sempre più difficile da portare avanti. Ugualmente, però, riteniamo che questa impostazione sia assolutamente necessaria ed attuale, soprattutto in un momento – ormai lungo – di crisi complessiva del sindacalismo di base nel suo complesso, che rispecchia la situazione di arretramento della classe lavoratrice. Oggigiorno, però, proprio l’acuirsi della crisi evidenzia comunque il permanere o la ripresa di significative, per quanto spesso isolate, esperienze di lotta, che come USI localmente dobbiamo appoggiare il più possibile. Il sempre più evidente appiattimento dei sindacati confederali su pratiche di assistenza e patronato a scapito, se non in rare e quasi rituali e dovute occasioni, così come l’eccessiva burocratizzazione interna e lo scimmiottamento, da parte di alcuni sindacati di base, degli stessi confederali per ottenere qualche briciola in più, potrebbe aprire spazi d’azione per un sindacato che, invece, deve restare fedele a se’ stesso nelle pratiche e nelle strategie.

Su questo aspetto, è sul piano locale che dobbiamo essere maggiormente attivi: in primo luogo, creando strutture sindacali credibili, con quel minimo di organizzazione che permette di crescere quantitativamente e qualitativamente, ma anche cercando di essere sempre presenti, seriamente, laddove vi è la possibilità di fare azione conflittuale. In questo senso, è positiva l’azione di appoggio e solidarietà militante a quanto si muove sul piano locale, ma ancora più importante sarebbe iniziare ad essere noi protagonisti, senza nascondersi dietro l’alibi dello scarso numero: bisogna agire in ogni azienda dove siamo presenti, in modo responsabile ma determinato.

È necessario che i lavoratori dell’USI si auto-organizzino in strutture aziendali, che si pongano come soggetti sindacali il più possibile rappresentativi e autorevoli, che a livello locale si dotino di un minimo di organizzazione capace, coerentemente con le nostre istanze libertarie, di difendere per quanto possibile i lavoratori. Fatto questo, si potrà filosofeggiare – a ragione – sulla fine delle forme classiche di sindacalismo, sulle nuove figure precarie, sui limiti della contrattazione, sul nuovo modello di società, etc. : tutti aspetti che noi condividiamo totalmente. Ma crediamo altresì che (provare a) praticare un sindacalismo onesto, dal basso, orizzontale, egualitario, non arrechi nessun danno alle questioni teoriche sopra esposte, ed allo stesso tempo ci piacerebbe che chi ha le idee più chiare su queste eventuali “nuove forme per affrontare al meglio il presente” ci spiegasse concretamente cosa intende e come ciò potrebbe servirci. Notiamo tuttavia che sarebbe però paradossale non agire concretamente sul terreno sindacale perché ritenuto “vecchio e inutile” e poi rivolgersi, in questo caso sì, concretamente, presso altre sigle sindacali per affrontare questioni molto materiali che toccano prima o poi tutti: e provare noi, a darci strumenti utili? Non è questa l’essenza del sindacalismo libertario? E invece, languono anche i sindacati di categoria, nonostante le molteplici esortazioni, a dimostrazione della stasi sindacale attuale.

Spesso sentiamo affermare che la forma-sindacato è superata. Può darsi. Ma ancora mancano contributi concreti su ciò che si auspicherebbe. Tra chi lo dice, soprattutto in alcuni gruppi di impostazione marxista, vi è chi prospetta come soluzione quella di carattere politico: creare forti partiti comunisti. Ovviamente, a noi questo non interessa. A noi pare invece che se per sindacato intendiamo un luogo dove praticare forme assembleari di organizzazione nelle quali cercare di difendersi (altro, oggigiorno, ci pare difficile, ma la cui progettazione/costruzione è necessaria) rispetto agli attacchi sistematici ai diritti dei lavoratori che vengono lanciati, ebbene, per noi, la forma-sindacato resta necessariamente attuale, a meno di non voler considerare definitivamente persa e chiusa la faccenda. Questo non vuol dire essere ciechi di fronte al presente, fatto di forti limitazioni alla contrattazione, ai diritti sindacali elementari come quello di sciopero e di parola; fatto di una moltitudine di figure lavorative sempre più precarie a seconda della flessibilità funzionale al potere, al padronato ed ai sindacati collaborazionisti. La situazione sotto diversi aspetti è in parte paragonabile, fatti i doverosi distinguo, a quella di inizio ‘900: e non è un caso che i nostri “nonni” cercarono di fronteggiarla organizzandosi.

Ancora una volta, riteniamo importante ribadire l’essenza prettamente sindacale e sociale dell’USI che non è ne’ un’associazione culturale ne’ un’organizzazione politica specifica: ognuno di noi, se interessato, ha già le sue organizzazioni politiche di riferimento, non ci interessano doppioni più o meno utili di queste. Pur ribadendo che non è nostra prassi confondere il piano sindacale e politico, non possiamo sottrarci dall’esprimere la nostra forte perplessità circa i numerosi compagni libertari che militano in organizzazioni verticistiche sia nell’universo del sindacalismo di base che nella triplice confederale. Tra i nostri iscritti, immaginiamo (perché, coerentemente con il nostro Statuto, questo aspetto è insindacabile) che vi siano naturalmente lavoratori di diverse tendenze politiche: anarchici, libertari, comunisti, democratici. Questo per noi non è solo normale come gruppo sindacale, ma anzi è un arricchimento non retorico. Fermo restando la condivisione nei valori e nella storia dell’anarcosindacalismo, che per noi è in primo luogo un metodo assembleare, antigerarchico, contro la delega e per l’azione diretta, apprezziamo il contributo che ci viene da tutti i nostri compagni e compagne. E comunque, volendo noi crescere, non possiamo limitare le adesioni al nostro sindacato confinandole ad un solo movimento politico: questo non solo sarebbe impossibile e controproducente, ma prima ancora assurdo.” A questo, ci sentiamo di aggiungere che le tematiche ambientaliste riversano un ruolo sempre più importante: il mondo che questo sistema sta distruggendo irrimediabilmente è l’unico che abbiamo e che vogliamo cambiare, a noi appoggiare ogni lotta che ha nella difesa ambientale una sua prerogativa, quali ad esempio la difesa di spazi verdi dalla cementificazione assurda, la lotta contro il TAV in aree che non possono sopportare ulteriori scempi del territorio in virtù di logiche esclusivamente di profitto.

Inevitabilmente la difesa dell’ambiente deve essere un cardine anche nelle “attività produttive”, ovvero abolire le produzioni nocive e belliche, così come le metodiche di produzione inquinanti e/o pericolose.

 

Analisi della rappresentanza e strategia dell’USI-AIT stante il rigetto dell’accordo Confindustria / Sindacati confederali del gennaio 2014

Gli ultimi accordi sono funzionali all’estromissione dal diritto del lavoro di tutte quelle realtà che impediscono (o magari solo fastidiosamente rallentano) l’affermazione, senza se e senza ma, dell’attuale modello politico-sociale. Non a caso i sindacati confederali si sono premurati di sottoscriverli, consci che la loro stessa esistenza come agenzie di intermediazione tra capitale e lavoro passi da questa accettazione di fatto che, se è vero che limiterebbe anch’essi come potenziali strumenti di organizzazione del conflitto, è anche vero che li agevolerebbe come organismi elargitori di servizi. E del resto, ciò è coerente con l’impostazione del sindacato confederale degli ultimi vent’anni perlomeno. Quei settori (vedi la FIOM) che oggi, improvvisamente, fanno finta di accorgersi che così facendo gli spazi di conflittualità e di autentica democrazia sul lavoro sarebbero drasticamente limitati, di fatto sono gli stessi che per anni hanno chiuso colpevolmente gli occhi di fronte alla negazione degli stessi diritti e della democrazia agli altri. I diritti sono tali se validi per tutti in ogni tempo e modo. Lo stesso dicesi per la democrazia sul posto di lavoro. Fino a ieri, grazie alle RSU, non tutti i sindacati godevano degli stessi diritti. Fino a ieri, grazie alle RSU, non tutti i sindacati godevano di esprimere una rappresentanza realmente democratica. Gli accordi di oggi continuano, peggiorandolo, questo quadro complessivo che per i sindacati di base era già realtà. Oggi questi settori finalmente (e apparentemente) critici, non sono credibili, anzi sono doppiamente responsabili, avendo fatto (e continuando a fare) da “copertura a sinistra” di enti ormai compromessi come la CGIL.

Quello dell’autorganizzazione è il principio basilare in cui poggia la nostra azione ispirata all’anarcosindacalismo che in sintesi significa lottare nella contingenza per migliorare le condizioni di lavoro e di vita della classe lavoratrice in coerenza con l’obbiettivo di arrivare alla conquista di una società alternativa senza servi, né padroni. Il metodo dell’autorganizzazione si è storicamente dimostrato essere il più efficace nel raggiungimento degli obbiettivi preposti e nello stesso tempo quello più idoneo nello sviluppo dell’emancipazione sociale. Solo praticando autorganizzazione e sviluppando l’autogestione già nel conflitto sociale possiamo maturare le condizioni di una società autogestionaria qual è nel nostro fine. Quello della forma assembleare come strumento di decisione è per noi da sempre il metodo più idoneo in contrapposizione a quello gerarchico e centralizzato.

Dobbiamo anche fare i conti con gli strumenti disponibili nel nostro percorso sindacale, facendo una opportuna valutazione del livello di coscienza dei lavoratori e lavoratrici (che obbiettivamente non è molto alto in questa fase) e i nostri rapporti di forza reali nella singola situazione. Gli strumenti sindacali disponibili attualmente sono le RSA (rappresentanza sindacale aziendale).

L’altro strumento per l’esercizio sindacale è quello delle RSU che sono una notevole riduzione di quelle che erano i Consigli di Fabbrica.

L’USI ha sempre partecipato in modo critico alle RSU, che restano semplicemente uno strumento verso il quale l’USI non può esimersi dal lottare per superarlo, cercando d’individuare forme collettive di autorganizzazione. La rinuncia o l’utilizzo di tali strumenti, finora questa è stata la nostra linea, è demandata alla decisine delle strutture locali che possono valutare in base alla propria esperienza, ai rapporti di forza e altro ancora. Se si è in grado di sperimentare forme di autorganizzazione più appropriate ben vengano. Questo orientamento pensiamo che sia tutt’ora valido.

E’ anche da registrare che siamo in presenza di un pesantissimo attacco a queste forme di rappresentanza sindacale. Ci riferiamo al famigerato accordo del 10 gennaio 2014 tra confederazioni sindacali (Cgil-Cisl-Uil) e Confindustria con l’obbiettivo di trasformarlo in legge. Questo accordo rappresenta la sepoltura definitiva di ogni possibilità di dissenso nel nuovo quadro di Rappresentanza Sindacale, vincolando i firmatari al rispetto di tutti gli accordi (aziendali e di contratti nazionali) che verranno pattuiti, vietando la possibilità di scioperare contro. E’ una prospettiva che assolutamente dobbiamo contrastare e soprattutto impossibile per noi da accettare.

 

Antimilitarismo e guerra

L’USI ha sempre affiancato la sua lotta sindacale e sociale con quella contro le guerre e contro ogni forma di militarismo. Ieri come oggi non si tratta solo di una scelta ideologica bensì di una indispensabile necessità per far fronte al quotidiano attacco alle condizioni di vita delle fasce più deboli della nostra società.

La militarizzazione del territorio, la cultura della “guerra” (ovvero una non cultura) che è penetrata ovunque, la repressione e la cancellazione dei diritti e delle libertà in tutti i campi, l’introduzione di un’economia legata a guerra e militarismo, sono la stessa faccia del supersfruttamento, dei licenziamenti, del precariato, della sparizione delle difese sindacali, dei diritti negati, della disoccupazione, della riorganizzazione fascista e xenofoba, della fame.

Oggi assistiamo a uno scenario di guerra enormemente diffuso che si alimenta in continuo e che nessuna potenza intende fermare. Dall’Africa al Medio Oriente, dall’Europa dell’est al Pakistan il capitalismo crea continui conflitti per i propri interessi economici e militari.

La scelta dell’USI è quella di opporsi a ogni logica guerrafondaia e militare, nazionalista e imperialista. Nessuna guerra, nessun potere può essere avallato o giustificato. Contestiamo quindi anche quelle logiche che, sulla base di rigidità ideologiche fatte di “antimperialismo” finto tendono ad appoggiare tatticamente dittatori di turno, questo o quello schieramento, negli scenari del conflitto internazionale. E’ naturale che ogni popolo cerchi di difendere le proprie tradizioni, la propria cultura, lingua, storia. Temiamo quando quella identità, per motivi altri, diviene copertura per sopraffarne altre, o quando con queste affermazioni si vogliano nascondere interessi ben precisi, consolidare vecchi poteri o crearne di nuovi.

Il nostro concreto appoggio va quindi a quelle resistenze dei popoli che lottano per una vera libertà ed emancipazione sociale.

L’USI ritiene necessario allargare il collegamento antimilitarista in tutto il mondo, quindi riprende il nostro vecchio progetto dello sciopero internazionale contro la guerra insieme a tutti i sindacati e le componenti sociali disponibili che non siano compromessi con la politica e la macchina guerrafondaia e militare.

Il Congresso delibera la costruzione di una sua struttura per coordinare e sviluppare in tempi rapidi la lotta antimilitarista, dando all’Unione continui strumenti pratici di intervento.

Tale struttura, “Comitato USI contro il militarismo e la guerra”, viene formata da Compagni di varie realtà dell’Unione e avrà anche il compito di analizzare e sviluppare sia varie proposte emerse al Congresso (sciopero, manifestazione nazionale, iniziativa su Masetti, e attualizzazione della questione libica), sia altre che verranno successivamente. La nomina formale dei componenti di questa Commissione sarà fatta al primo Comitato dei delegati dell’USI.

 

Lo sviluppo delle forme dell’autogestione, dell’azione diretta e riappropriazione/occupazione di spazi, da parte delle classi subalterne, come presupposto necessario per una società futura liberata

L’USI sostiene lo sviluppo delle forme dell’autogestione, dell’azione diretta e riappropriazione/liberazione di spazi da parte delle classi subalterne come presupposto necessario per una società futura liberata.

Già alla festa di Riotorto abbiamo ospitato come USI un dibattito sulla storia degli spazi sociali autogestiti, principalmente legata a Milano, Torino, Firenze e Modena, concludendo che in quelle esperienze già si sperimentavano rapporti umani ed economici interessanti per un percorso autogestionario che USI sostiene. Molti dei partecipanti si espressero per sostenere quelle esperienze e solidarizzare contro gli eventuali sgomberi.

L’autogestione e l’autoorganizzazione si manifestano in tanti aspetti all’interno della società, in esperienze basate su cultura della partecipazione e rapporti solidali, in antitesi al modello capitalista.

Sta all’USI contribuire attivamente a queste esperienze, supportarle e stimolarle in una direzione anarcosindacalista. L’USI ha nella sua storia questo DNA e nella sua prospettiva il compito di iniziare già qui ed ora a dimostrare che si può cambiare ed immaginare un’economia che rispetti le persone e l’ambiente, e che abolisca lo sfruttamento.

 

Rapporti con le altre OO.SS del sindacalismo di base

L’attuale situazione della relazione della nostra Unione con le altre Oo.Ss. del c.d. Sindacalismo di Base non vede nessuna alleanza strategica o tattica con alcuna O.S. a livello nazionale. A livello locale alcune sezioni hanno relazioni di collaborazione con altre Oo.Ss. sempre su obiettivi e vertenze, ovvero una collaborazione di lotte su tematiche precise. Va precisato che anche a questo livello non esiste un rapporto preferenziale con alcuna O.S., infatti registriamo che in realtà locali diverse le nostre sezioni si rapportano con alcune Oo.Ss. e che in altre realtà ciò non è possibile. Semplificando, poiché le collaborazioni a livello locale sono decise su possibili rivendicazioni, è ovvio che la relazione viene stabilita sugli obiettivi e quindi di volta in volta con le Oo.Ss. con le quali c’è convergenza sulle rivendicazioni.

In occasioni di momenti di mobilitazione nazionali abbiamo sempre perseguito una possibile coordinazione con le altre sigle, per quanto riguarda la proclamazione/convocazione non sempre è stato possibile per diversi motivi.

Ciononostante abbiamo sempre partecipato alle giornate di lotta, quindi con una nostra autonoma proclamazione, nelle stesse giornate e concordando con le altre Oo.Ss. l’organizzazione delle manifestazioni.

Il Congresso valuta positivamente la nostra pratica e al contempo ritiene opportuno mantenere corrette relazioni con le altre Oo.Ss. , ovviamente privilegiando quelle coi sindacati conflittuali (i c.d. Sindacati di Base); è invece da escludere qualunque O.S. che si richiama o pratica valori apertamente o di stampo fascista.

Ciò vuol dire che la nostra O.S. sempre più deve essere presente nella fase di proclamazione dello sciopero, ciò anche al fine di meglio contrastare gli eventuali tentativi di intimidazione della controparte che sono sempre meno eventuali.

Una ultima indicazione sulle proclamazioni è la seguente: le piattaforme rivendicative omnicomprensive (le c.d. piattaforme lenzuolo) risultano poco attrattive per i lavoratori, pertanto sarebbe auspicabile convergere in pochi ma qualificati punti/obiettivi.

Per finire, il Congresso ritiene che le singole sezioni locali debbano continuare a decidere a livello locale tattica e strategia ed eventuali coordinazioni/ relazioni con le Oo.Ss. con le quali ritengano di poter collaborare per l’obiettivo perseguito.

 

Azione dell’USI-AIT coi precari, disoccupati e precariato sociale

L’USI deve trarre insegnamento dalla storia che l’ha formata: all’inizio del Novecento i lavoratori erano tutti precari e i disoccupati organizzati dalle Camere del Lavoro iniziarono lavori di bonifica e pretesero di essere pagati dai sindaci.

L’USI deve impegnarsi ad organizzare i lavoratori precari e i disoccupati, fornendo supporto pratico e concreto, creando su questo tema molta visibilità anche allo scopo di ottenere lavori di pubblica utilità che diano opportunità di vita dignitosa alle persone. Allo stesso tempo l’USI deve impegnarsi a contrastare lo sfruttamento messo in atto dalle cooperative sociali andando ad eliminare il sistema degli appalti con la reinternalizzazione dei relativi servizi o lavori.

L’USI deve richiedere le 30 ore settimanali a parità di stipendio.

Sviluppare un grande intervento incisivo nel grande mare del lavoro precario, frantumato, disperso.

In questo settore vanno ancora largamente sperimentate le forme dell’intervento, visto che questi settori sono difficili da aggregare e sono sostanzialmente sprovvisti dello strumento principe della contrattazione sindacale, cioè lo sciopero.

Dunque si tratta di pensare e sperimentare collettivamente percorsi di comunicazione al mondo del precariato, forme di aggregazione dei lavoratori precari e possibili strumenti di lotta di questo settore lavorativo (blocchi della circolazione di mezzi e persone, campagne di boicottaggio, occupazione dei comuni e delle agenzie del lavoro ecc.).

L’USI inoltre deve appoggiare situazioni di occupazione di terreni, vedi Mondeggi, dove gli occupanti possano farsi reddito lavorando la terra in autogestione.

Su questa base il Congresso delibera la formazione di un’apposita Commissione.

 

Nomine incarichi statutari

Gestione della Cassa: Roberto Borselli (USI San Vincenzo).

Mailing List: Federico Denitto (USI Trieste).

Commissione Esecutiva: Enrico Moroni (USI Milano); Mauro Bonalumi (USI

Milano); Manuel Pagliarini (USI Parma); Alessio Borghi (USI Modena); Lorenzo Tusberti (USI

Modena).

Commissione Internazionale: Mario Verzegnassi (USI Trieste); Massimiliano

Ilari (USI Parma); Anna Gussetti (USI Castelfranco Veneto); Ettore Valmassoi (USI

Belluno).

Vicesegretario Nazionale: Angelo Mulè (USI Milano).

Segretario Nazionale: Franco Bertoli (USI Modena).

Organismi di propaganda, di comunicazione e di coordinamento

Gestione del sito usi-ait.org: Luca Meneghesso (USI Trieste); Pasquale Piergiovanni (USI Puglia); Anna Gussetti (USI Castelfranco Veneto).

Redazione Lotta di Classe: Mohsen Fahandeza (USI Modena); Tommaso Marchi (USI Modena).

 

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