LA CRISI FINANZIARIA I SOLITI PERDONO, I SOLITI GUADAGNANO…

Un po’ di storia recente
La società Fanny Mae fu istituita, durante il New Deal, dal governo federale allo scopo di agevolare la concessione di mutui a chi intendesse comprare una casa. Nel 1968 Fanny Mae fu privatizzata. Nei tardi anni ’90, sotto Clinton, le regolamentazioni sui prestiti furono rese meno strette allo scopo di rendere più facile l’ottenere mutui. Il meccanismo di base era semplice: Fanny Mae acquistava i mutui (detti sub-prime) dai creditori che li avevano emessi (diventando quindi essa stessa il creditore), e li confezionava in pacchetti azionari garantiti da mutui; questi pacchetti (prodotti derivati) potevano essere acquistati da chiunque desiderasse investire sul mercato secondario dei sub-prime. La dilatazione della concessione dei mutui anche a chi non aveva garanzie da offrire, la gran mole di prodotti derivati immessa sul mercato, l’insolvenza crescente di molti debitori a seguito dell’incalzante crisi economica hanno provocato l’esplodere della “bolla speculativa” sub-prime, coinvolgendo, l’una dopo l’altra, le maggiori istituzioni finanziarie americane.

La crisi finanziaria
La crisi dei prodotti derivati dei sub-prime americani sta producendo oggi tutti i danni che era possibile immaginare. I più grandi istituti finanziari americani (banche d’affari, istituti di credito, compagnie assicurative, ecc.) stanno crollando, uno a uno, come in un castello di carte. Fallimenti (Leham Brothers) e salvataggi disperati (Freddie Mac, Fannie Mae, Bear Stearns, Merryll Linch) da parte del tesoro americano (vere e proprie statalizzazioni) o della Bank of America, un piano federale da 850 miliardi di dollari (il piano Paulson, che scaricherà i suoi costi sui contribuenti americani) per riassestare la situazione finanziaria, la dicono lunga sull’entità del tracollo.
L’Europa stessa comincia a subire i contraccolpi della crisi, propagatasi con i prodotti derivati e alimentata dalla mancanza di liquidità. A parte il crollo a picco delle varie borse (contagiate dall’andamento disastroso di Wall Street), anche potenti istituzioni bancarie e finanziarie europee (persino l’insospettabile UBS svizzera) subiscono perdite secche (ultima vittima, in odore di fallimento, la tedesca Hypo Real Estate). Così come la nostrana Unicredit, spacciatrice dei titoli e prodotti Merryll Linch.

Alcune riflessioni
Al di là della drammaticità della situazione, della quale non è facile prevedere gli sviluppi e l’impatto che avrà sulla nostra situazione, vengono spontanee alcune riflessioni:
– il rapporto finanza-economia reale non è totale, tuttavia le crisi finanziarie si traducono inevitabilmente in crisi generali. Anche in questo caso gli effetti del crack finanziario, in particolare la crisi di liquidità e la stretta creditizia si sono riversate su un’economia già in fase recessiva e ne hanno amplificato la tendenza alla stagflazione (inflazione + stagnazione). Questo negli USA, come in Europa e, potenzialmente, nel resto del mondo, compreso gli iperproduttivi giganti asiatici (India e Cina).
– il liberismo selvaggio si è suicidato. Le teorie della libera iniziativa e del libero mercato come unici regolatori dell’economia mostrano tutti i loro limiti e la loro impotenza ad arginare le crisi cicliche del capitalismo. Si ricorre perciò alle nazionalizzazioni e all’intervento diretto dello Stato nell’economia, che sembravano ormai solo un retaggio del socialismo reale. Il capitalismo però sopravvive… alla faccia di quelli che vedevano nel neoliberismo il nemico assoluto e non c’è motivo di pensare che diventerà più “umano”.
– la mondializzazione mostra – in negativo – tutte le sue potenzialità di volano di crisi devastanti. Alla libera circolazione delle merci si possono opporre dazi protettivi; a quella degli uomini, confini militarizzati, a quella della forza-lavoro, leggi; a quella dei capitali, regole; ma a quella delle crisi nulla si può opporre… vera e propria merce virtuale globale, viene esportata in abbondanza.

La nostra crisi
Ma veniamo alle cose di casa nostra. Chi colpisce la crisi? Innanzitutto gli speculatori e gli affaristi colpiti dalla crisi borsistica (non quelli grandi, che anzi troveranno ulteriori occasioni di guadagno), ma ciò non può che rallegrarci; poi i piccoli investitori e i risparmiatori strappati alla loro illusione di trovare la “nicchia giusta” per tutelarsi dall’inflazione; infine la gran massa dei lavoratori che subisce (e subirà) attacchi sempre più pesanti e da molteplici direzioni.
In maniera diretta, con la polverizzazione di eventuali piccoli risparmi, oppure con il crollo dei fondi a cui il 30% dei lavoratori ha affidato il proprio TFR (grazie agli interessati consigli di delinquenti di ogni sorta) e che negli ultimi tempi hanno perso dall’1 al 3% (a fronte di una rivalutazione del 3% dei TFR lasciati in azienda).
In modo indiretto, ma egualmente dirompente, sui salari e le condizioni di lavoro. Marcegaglia, presidentessa di Confindustria, lancia l’allarme e annuncia che le aziende italiane non “crescono” perché patiscono per la crisi di liquidità e, soprattutto, per la conseguente restrizione del credito alle imprese e chiede aiuto al governo (alla faccia del liberismo e del rischio d’impresa!). Comunque finisca, quello che è certo è che la crisi delle imprese, la loro mancata crescita e il ristagno degli utili verranno scaricati (come è sempre successo) sui lavoratori, per garantire la continuità e la crescita dei profitti.
Ciò vuol dire legare sempre più strettamente i salari alla produttività, magari, come nel caso Alitalia, addirittura tagliandoli con una vaga promessa di recupero.
Ciò vuol dire colpire ancora l’occupazione, tagliando gli organici e bloccando il turn-over a favore di un’estensione ancora maggiore del lavoro precario e di quello in nero.
Ciò vuol dire ritmi di lavoro sempre più alti e in condizioni sempre peggiori a scapito di ogni più elementare norma di sicurezza.
Ciò vuol dire tagliare sempre di più i servizi pubblici, impoverendoli a favore di quelli privati, come sta facendo la ministra Gelmini nella scuola.
Ciò vuol dire assumere come unici interlocutori i compiacenti e collaborativi sindacati di stato (Cgil, Cisl, Uil, magari con l’aggiunta dell’Ugl), negando ai sindacati di base, ma soprattutto ai lavoratori in prima persona, la possibilità di essere realmente rappresentati.

Come difendersi?
Opporsi a tutto questo è sempre più necessario. Sono in gioco, sempre più, le condizioni di vita nostre e di milioni di lavoratori, se non addirittura quelle di una semplice sopravvivenza.
Non possiamo dunque che ribadire gli obiettivi minimi di una lotta generalizzata che più volte abbiamo enunciato:

– DIFESA DEI SALARI TRAMITE AUMENTI SGANCIATI DALLA PRODUTTIVITA’ E DALLO STRAORDINARIO
– DIFESA DELLE PENSIONI E GRATUITA’ ED EFFICIENZA DEI SERVIZI SOCIALI
– SICUREZZA SUL LAVORO AFFIDATA AL CONTROLLO DIRETTO DEI LAVORATORI E NON A LEGGI FANTASMA
– ASSUNZIONE A TEMPO INDETERMINATO PER TUTTI I LAVORATORI PRECARI E IN NERO

che sono la nostra piattaforma rivendicativa per lo:

SCIOPERO GENERALE DEL 17 OTTOBRE INDETTO DAL SINDACALISMO DI BASE

MA CHE NON DEBBONO ESSERE DISGIUNTI DALLA PRESA DI COSCIENZA CHE UN’ALTRA SOCIETA’ E’ POSSIBILE;
UNA SOCIETA’ DOVE FINANZA E CRISI, PROFITTI E SPECULAZIONI, SFRUTTAMENTO E MISERIA, CAPITALISMO E AUTORITA’ NON ABBIANO CITTADINANZA;
UNA SOCIETA’ DI LIBERI E UGUALI, FONDATA SU UNA ECONOMIA DEI PRODUTTORI, SULLA SOLIDARIETA’ E SUL MUTUO APPOGGIO.
CERTO OGGI PUO’ SEMBRARE UTOPIA, MA SE LA CONSAPEVOLEZZA DELLA SUA NECESSITA’ SI ESTENDERA’, GIA’ DOMANI POTREBBE NON ESSERLO PIU’.

USI Liguria

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