IL SINDACALISMO RIVOLUZIONARIO

La prima parte di questo articolo è stata pubblicata sul numero 110 di Lotta di Classe.

2 – Precursori e teorici
Parlare di precursori è, in realtà, restrittivo.  E’ preferibile parlare, come abbiamo già fatto, di correnti di pensiero politico che sono confluite nelle teorie sindacaliste rivoluzionarie, con alcune ulteriori specificazioni. Infatti alla concezione e alla teoria marxista della lotta di classe vanno sicuramente aggiunti l’anarchismo, il mutualismo proudhoniano e alcune propaggini del pensiero liberale più decisamente antistatalista.
Debitori di queste correnti di pensiero sono sicuramente i più importanti teorici del sindacalismo rivoluzionario. Francesi sono George Sorel, Hubert Lagardelle, Fernand Pelloutier, Emile Pouget e Pierre Monatte; italiani Arturo Labriola e Enrico Leone; americani Daniel De Leon, Eugene Debs e William Haywood (Big Bill); spagnolo Salvador Seguí. Solo per citare alcuni tra i più noti.
A George Sorel dobbiamo la più lucida esposizione della teoria dello sciopero generale rivoluzionario in quanto mito sociale (e non utopia) fondato su convinzioni condivise e fondante una potenziale situazione rivoluzionaria. Scrive Sorel (Nell’introduzione alle “Riflessioni sulla violenza”): “Si può parlare all’infinito di rivolte senza mai provocare un movimento rivoluzionario, fin tanto che non vi sono miti accettati dalle masse; è ciò che dà allo sciopero generale tanto grande importanza e che lo rende così odioso ai socialisti, i quali hanno paura di una rivoluzione; essi adoperano tutti i loro sforzi per scuotere la fiducia che i lavoratori ripongono nella loro preparazione rivoluzionaria; e per giungere a ciò essi cercano di mettere in ridicolo l’idea dello sciopero generale, la quale solo può avere un valore propulsore” e prosegue “…Gli attuali miti rivoluzionari sono quasi puri; essi permettono di comprendere l’attività, i sentimenti e le idee delle masse popolari che si preparano a entrare in una lotta decisiva; non si tratta di descrizioni di cose, ma di espressioni di volontà” mentre “L’utopia, al contrario, è il prodotto di un lavoro intellettuale; essa è l’opera di teorici, che dopo aver osservato e discusso i fatti cercano di stabilire un modello con il quale si possano confrontare le società esistenti per misurare il bene e il male che esse contengono; è una composizione di istituti immaginari, ma che offre analogie con le istituzioni reali abbastanza grandi perché il giurista ne possa ragionare; è una costruzione che si può smontare e nella quale alcuni pezzi sono stati tagliati in modo tale da rendere possibile (mediante qualche modifica) il loro passaggio in una futura legislazione”. Curiosa inversione di ruoli, Sorel, di formazione marxista, accusa gli epigoni di Marx suoi contemporanei di aver prostituito l’utopia al realismo e vi contrappone la mitopoiesi sociale in quanto manifestazione di volontà rivoluzionaria.
Al pari di Sorel anche Pierre Monatte (che non nasconde le sue simpatie per l’anarchismo) propone lo sciopero generale universale come momento di catarsi e di rottura e rivendica con forza l’autonomia del sindacato rivoluzionario. Questo tema sarà oggetto di un duro contendere con Malatesta al Convegno anarchico internazionale di Amsterdam nel 1907 dove quest’ultimo proporrà la tesi del sindacato necessariamente riformista e della necessità di un’organizzazione rivoluzionaria specifica. Alle forme di lotta è invece principalmente rivolta l’attenzione di Emile Pouget. “A cattiva paga, cattivo lavoro” scrive manifestando il rigetto dell’etica del lavoro tipica della retorica riformista e socialdemocratica. Boicottaggio e sabotaggio sono forme di lotta assolutamente  legittime per il movimento operaio, in quanto espressione dell’azione diretta. Fernand Pelloutier (anarchico come Pouget) pone più attenzione all’articolazione locale del sindacato, è infatti uno dei teorici (oltreché lo storico) delle Bourses du travail. Queste strutture (assimilabili in qualche modo alle Camere del lavoro italiane), inizialmente dedicate alla collocazione al lavoro, diventano sedi dei vari sindacati di mestiere e si aprono a svariate attività sociali e culturali a favore dei lavoratori.
Questo breve resoconto delle teorizzazioni che vanno a costituire il corpus ideologico sindacal-rivoluzionario non può chiudersi prima di aver rilevato il contributo dei teorici dell’unionismo industriale americano (Debs e De Leon in primo luogo) che mettono in risalto l’unità dei lavoratori d’industria, al di là delle differenze di condizione e/o di mestiere, e l’autosufficienza e l’autonomia della working class industriale da tutti i punti di vista.

3 – Organizzatori e Organizzazioni
Al di là dell’apparato teorico e concettuale le esperienze sindacaliste rivoluzionarie, si distinguono, sono caratterizzate, fondamentalmente dall’opera infaticabile degli organizzatori e dalle strutture organizzative non burocratiche che si vengono a costituire.
Anche qui la multiformità delle esperienze impone qualche criterio di lettura che non sia un semplice elenco di nomi o di date di fondazione e di congressi.
Un criterio possibile è quello cronologico, non tanto in quanto date di fondazione ma di periodi di massima espansione e influenza delle varie organizzazioni. Ciò permette di rendere conto, da un lato, della rottura rappresentata dalla Ia guerra mondiale nella crescita sindacal-rivoluzionaria e, dall’altro, dello suo volgersi in senso anarco-sindacalista.

In Francia
La Francia è l’unico pase dove il sindacalismo rivoluzionario non origina una specifica organizzazione ma si sviluppa come raggruppamento di correnti rivoluzionarie all’interno della Confédération générale du travail (CGT). Correnti che si oppongono all’influenza politica dei guesdisti. Questa alleanza permette ai sindacalisti rivoluzionari francesi di dirigere la CGT dal 1885 (l’anno della sua fondazione) all’inizio della prima guerra mondiale, anche se in realtà la deriva riformista comincia a prendere corpo dopo il 1908 con l’avvento alla segreteria dei moderati  Louis Niel e soprattutto di Léon Jouhaux.
Il Congresso di Amiens del 1906 segna una data fondamentale per il sindacalismo rivoluzionario francese (e non solo) e per la sua affermazione che prende materialmente forma nella cosiddetta Carta di Amiens, documento chiave e fondante,  redatto dall’allora segretario Victor Griffuelhes. Il documento stabilisce la totale autonomia del sindacato dalle organizzazioni e partiti politici, concedendo agli aderenti libertà d’agire al di fuori dell’organizzazione sindacale rivoluzionaria, in funzione delle proprie peculiarità politiche, purché mantenessero l’unità d’intenti rivoluzionaria all’interno del sindacato.
Tra gli organizzatori più attivi e influenti, oltre Griffuelhes, i già citati Pouget, Pelloutier e Monatte.

Il testo della Carta di Amiens
Il Congresso confederale di Amiens, nel confermare l’articolo 2 dello statuto della Cgt, afferma: La Cgt raggruppa, al di là di ogni scuola politica, tutti i lavoratori coscienti della necessità di lottare per la scomparsa dei salariati e del padronato. Il Congresso ritiene che questa dichiarazione costituisca un riconoscimento della lotta di classe, che contrappone sul terreno economico i lavoratori in rivolta contro tutte le forme di sfruttamento e di oppressione, sia materiali che morali, messe in atto dalla classe capitalistica ai danni della classe operaia.
Il Congresso precisa questa affermazione teorica mediante i seguenti punti: Nell’opera rivendicativa quotidiana, il sindacalismo persegue il coordinamento degli sforzi operai, l’accrescimento del benessere dei lavoratori mediante la realizzazione di miglioramenti immediati, quali la riduzione delle ore di lavoro, l’aumento dei salari, ecc. Ma questo impegno é solo un aspetto della pratica del sindacalismo, il quale prepara l’emancipazione integrale che si può realizzare solo mediante l’espropriazione dei capitalisti, preconizza lo sciopero generale come mezzo d’azione, e ritiene che il sindacato, oggi organismo di resistenza, sarà, in futuro, il raggruppamento responsabile della produzione e della distribuzione, base della riorganizzazione sociale.
Il Congresso dichiara che questo duplice impegno, nel presente e per il futuro, nasce dalla condizione dei salariati che pesa sulla classe operaia e che rende doverosa per tutti i lavoratori, quali che siano le loro opinioni o le loro tendenze politiche o filosofiche, l’appartenenza al raggruppamento essenziale costituito dal sindacato. Di conseguenza, per quanto riguarda gli individui, il Congresso afferma che, fuori dal raggruppamento corporativo, gli iscritti al sindacato sono totalmente liberi di partecipare alle forme di lotta corrispondenti alle loro concezioni filosofiche o politiche e si limita a esigere, in cambio, che non vengano introdotte nel sindacato le opinioni professate all’esterno. Per quanto riguarda le organizzazioni, il Congresso dichiara che, affinché il sindacalismo possa conseguire il massimo risultato, l’azione economica deve essere rivolta direttamente contro il padronato, dato che le organizzazioni confederate, in quanto raggruppamenti sindacali, non debbono preoccuparsi dei partiti e delle sette che, all’esterno e collateralmente, possono perseguire in tutta libertà la trasformazione sociale.

Walker
(segue)
 
 

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