Il Quarto Stato, contrattazione o rivoluzione

Il quarto stato


Circa 20 milioni di persone in Italia (un quarto della popolazione) è a rischio esclusione dalla sopravvivenza materiale. Di queste 8,2 milioni risultano già “schedate” come povere (assolute o relative, poco importa). Ma i numeri, si sa, si lasciano scrivere: sono elementi flessibili ad uso e consumo del potere. Basta appostarsi ai bottini delle immondizie dei supermercati – assediati dai nuovi poverissimi che cercano disperatamente avanzi di frutta e verdure semi marcescenti – per sapere che cosa stia succedendo. O guardare le fila dei disperati alle mense della Caritas (quelle ancora aperte) per capire che non più solo di extracomunitari si tratta (non che questo faccia la differenza: dimostra solo che il terzo mondo si sta trasferendo qui). Ci bastano gli occhi avviliti ed attoniti degli operai delle fabbriche (a centinaia) che chiudono. Spesso senza preavviso, anche se le leggi di “garanzia” ci sarebbero, tra un venerdì e il lunedì successivo per riaprire in Albania o da qualche altra parte. Mentre altre falliscono perché non pagano i fornitori non riuscendo a recuperare i crediti sospesi (spesso statali). Ci sono persone che vivono (vivono?) con 250 euro al mese.

L’elenco è lungo. E poi ancora: licenziamenti di famiglie intere, “esodati” che ancora non hanno visto il becco di un quattrino, contadini “possidenti” di case costruite da loro mattone su mattone, spellandosi le mani, mangiando pane con nulla, negandosi il superfluo (esistono, e come se esistono) ora sotto attacco da una tassazione iniqua. La casa infatti è un bene primario, se usata per abitarvi – negli anni ’60 tale diritto fu uno dei leitmotiv delle lotte – non può essere un reddito: al massimo un costo (di manutenzione ed uso).
Coloro che vivono nelle automobili perché privati dell’abitazione acquistata con mutuo usuraio gonfiatosi a dismisura e che hanno dovuto vendere ricavandoci un importo ben al disotto del valore iniziale e non sufficiente neppure ed estin guere tutti gli interessi dovuti comunque alla banca. Basta usare gli occhi per vedere che gli esclusi (“chiusi fuori”) sono una folla di “senza diritti, senza parola, senza voce” avviluppati e ossessionati dalla necessità di sopravvivenza giornaliera. Stanno altrove, sono invisibili, forse perché non li si vuole vedere, forse per il timore di poter fare la stessa fine: il confine che separa gli inclusi dagli esclusi è una linea sottile e fragile. Spesso sono invisibili anche a loro stessi. La società infatti gli ha insegnato che se falliscono o vengono licenziati o sono senza soldi è certo colpa loro: qualcosa avranno pur sbagliato. E allora tacciono, non si rivelano, non chiedono aiuto, perché si vergognano. Ed il silenzio in cui sono immersi, troppe volte ormai, si tramuta in urlo nel vuoto o in colpo di pistola.
Meglio non vedere tutto questo. Meglio non sapere. Meglio illudersi che il mondo e la società siano rimaste sempre uguali e che prima o dopo torneremo al piccolo mondo antico del benessere.

La mutazione dello Stato
Ma così non è. La forma dello Stato è radicalmente cambiata. In peggio ovviamente. Oramai è improprio parlare di Stato secondo le vecchie concezioni. Esso è diventato il socio di una SpA: un azionista che siede al tavolo del MES, il meccanismo europeo di stabilità, al quale ha versato la quota partecipativa rubata dalle nostre povere e stupide tasche di creduloni (tasse=servizi pubblici) che invece farà girare la pallina del grande casinò mondiale della finanza e delle borse. La morsa (costituzionale? Chi lo sa?) del pareggio di bilancio inchioda la salute e la sopravvivenza con un esecrabile taglio delle spese (sanità, scuola e tutto quello che di “pubblico” ancora rimane) per “riverire” un debito che nessuno di noi ha mai fatto e che io considero di sporca usura essendosi prodotto nell’interscambio tra l’acquisto della moneta alla BCE con titoli di stato che lievitando gli interessi, gonfiano il debito in un avvitamento senza fine. Le spese correnti vengono per ultime e quando toccherebbe ad esse i soldi son finiti. La Grecia insegna: taglio ai salari dei dipendenti pubblici,(e i posti di lavoro) pensioni e sanità.

Un destino già scritto
L’interpretazione dei congegni della società di oggi è sempre più difficile e complessa. I luoghi – veri – del potere si sono trasferiti a Bruxelles, la cupola che domina (con gli azionisti più forti) i destini della gente. Solo per fare un esempio Mario Monti (dimissionario e non rieletto: alla faccia della loro democrazia) l’11 di aprile 2013 presenta all’Europa delle Banche il Programma di stabilità per l’ Italia in cui è previsto, per la Sanità, una riduzione di 7.389 posti letto, che, sommati alla riconversione di altri 14.043 in posti di lungo degenza (e/o “riabilitazione” sich!) che non necessitano di assistenza medica continua fanno in totale 21.432 posti di medicina generale e/o specialistica in meno. E’ inutile sottolineare che cosa siano e sono sempre state le lungodegenze: reparti di contenimento (spesso crudeli e disumani) e non certo di cura, frequentemente appaltati al massimo ribasso a cooperative o privati senza scrupoli.
E poi ci sono i grandi tagli in campo farmaceutico, la riduzione al sostegno delle spese di pannoloni per adulti incontinenti, la sostituzione di molti farmaci con quelli cd equivalenti (le cui sostanze attive vengono quasi tutte prodotte India) la cui pari efficacia è molto dubbia. L’accentramento sanitario e la chiusura di molti presidi fa si che molti esami diagnostici strumentali importanti e necessari possano venir disposti in zone distanti dal luogo abitativo anche 30, 50 km e le persone disabili o gravemente malate, o quelle più sole ed indifese devono arrangiarsi a trovare le soluzioni del trasporto. (ausmerzen?). Molte farmacie si sono trovate in seria difficoltà per il ritardato rimborso dei farmaci venduti da parte dello Stato e/o Regioni il danno è ricaduto sull’utenza: farmaci introvabili in alcune regioni. Piccoli esempi, ma ce ne sarebbero una sfilza, per dimostrare che si è insidiato un accanimento deprivativo proprio verso le fasce più deboli e meno protette. Anche i servizi sociali (welfare) hanno subito una riduzione di spesa del 90% e già nei primi mesi dell’anno i soldi non ci sono più.
Il Programma di Stabilità è un tomo molto lungo (ca 500 pagine). Lì si trovano le cifre, i progetti ed il racconto del nostro destino e si svelano le infinite fandonie che ci vengono somministrate (ad es l’IVA) così come le prossime manovre ben più pesanti di quelle già attuate. Esso è scritto con linguaggio tecnico e forbito, duro come un rospo vivo da digerire. Una sorta di katharevousa(dotta e burocrate) all’italiana. Un tempo – molto lontano – c’era una stampa o le varie opposizioni che ce li traduceva sinteticamente. Oggi più nulla, se non che bugie e censura. I Turchi e i Greci sono molto più informati di noi, il che la dice lunga.

Il Terzo Regno
In tutto questo ambaradan (c’è forse un disegno?) il presidente del consiglio Letta rivendica lo “Stato di eccezione” per poter tornare ad una “democrazia matura” (ma quella che ci hanno sventolato fino adesso che cos’era secondo lui?). Da uomo colto qual è non posso non pensare che non facesse riferimento al politologo e giurista nonché sostenitore del regime nazista Carl Schmitt recentemente rivalutato dalla “società civile e dotta” (sich!) soprattutto con riferimento ai problemi giuridici e filosofico-politici della globalizzazione. Lo “Stato di eccezione” si contrappone a quello di diritto, in quanto una condizione, appunto eccezionale, deve essere trattata con urgenza e comunque con strumenti giuridici ”non ordinari”. Con tale concetto, teorizzato per la prima volta da costui nel 1921, viene considerava lecita la dittatura se interpretata come misura temporanea ed eccezionale. Egli infatti individua due tipi di dittature: quella “commissaria” e quella “sovrana”. Nella prima la “eccezione” ha come obiettivo il ripristino o la modifica della Costituzione vigente, mentre la seconda è riconducibile ad un “gioco di forza” messo in atto da un potere politico che intende creare un nuovo “ordine”. Ma anche qui la linea di confine è fragile e pericolosa, perché a suo tempo consentì al Fuhrer di scrivere la storia che sappiamo.

 

I giovani
Infine i giovani si sono ritrovati in un mondo che, nonostante l’alta tecnologia, assomiglia di più a quello vissuto dai loro bis-bis nonni, nei tempi della “ri-in-voluzione industriale”. Novelli Sans papier del mercato del lavoro imprigionati dai cancelli che si aprono e si chiudono a fine rifornimento di capitale umano. Essi sono stati privati dal sogno di qualsiasi certezza (relativa) del futuro (casa, lavoro, famiglia). Tutto vago, variabile e incoerente come la meteorologia. Canne al vento in balia dei lavori interinali e intermittenti (alla giornata, su chiamata), delle finte cooperative, delle partite IVA al posto della previdenza, delle tassazioni a fondo perduto, o, se va bene (ma proprio bene) del precariato a tempo. Tutto altro da quello che la mia generazione ha vissuto, beneficata dalle lotte e dai morti di fine ‘800 e primi novecento. Lotte che crearono, dal nulla che c’era, diritti fino ad allora inesistenti con la forza della ragione e della dignità e lo spirito caparbio e irriducibile di molti anche se non di tutti. Diritti che ci sono stati strappati con il favoreggiamento di nemici prepotenti e potenti, i confederali, spacciatisi per sindacato, compiacenti e asserviti al padrone ed al potere. Grazie anche a loro siamo tornati indietro di 150 anni con i licenziamenti senza giusta causa, i lavori interinali, gli sfruttamenti da sedicenti cooperative, i fondi pensione fregatura dei Confederali (v, Cometa e altri), cancellata la scala mobile, svenduto lo strumento dello sciopero trasformato in un “finto “diritto” soggetto a tutte le limitazioni del mondo, espropriato le rappresentanze dei lavoratori facendole diventare loro proprietà esclusiva.

Rivoluzione!
Troppe le cose che ci assediano. Troppe quelle da cambiare in un sistema che, nonostante le apparenze, sta cercando di non morire, pur essendosi accoltellato con le sue stesse mani. Questo modello di società, che vorrebbe auto-restaurarsi con il sangue e la carne dei più deboli e dei più poveri, non ha futuro. E’ un Moloch che muore, che deve morire. Ed è urgente uscire dalle sgrinfie di questo animale feroce, perché la sua ultima finale e inutile reazione sarà ancora più forte e crudele.
Il tempo della contrattazione è finito. Non si può più patteggiare con il sistema. Perché esso non ci darà mai nulla: prenderà fino all’ultima goccia di sangue. Come un’edera che avviluppa la pianta fino a farla morire e poi morire lei stessa. Ma noi non siamo piante: possiamo e dobbiamo muoverci, lottare, fuggire, pensare, difenderci e VIVERE come vogliamo noi. Certo, è necessario ripartire da zero; ricostruire un mondo a misura di umanità e nel frattempo sopravvivere al pesante attacco della belva parassita. In fondo la rivoluzione è proprio questo: volgere indietro, ritornare. Tornare alle origini dell’uomo e ripescarne il senso ed il significato. La nostra vita è solo (solo?) una passeggiata sulla terra, ciascuno con la sua quantità di tempo. E’ un dovere renderla bella, serena e armoniosa, come un giardino curato ed amato. Per noi e per restituirla ai figli dei nostri figli in condizioni migliori di quella che l’hanno trovata. Estirpando il cancro della finanza, dell’economia, della guerra e dell’autoritarismo inutile e dannoso per riempirla di autentici valori: libertà, dignità, autogestione, uguaglianza (quella vera: uguali ma diversi, ad ognuno secondo i suoi bisogni). Rivoltare e rivoltarsi ad un sistema che ha fatto del denaro il suo vacuo idolo è oggi una necessità ma anche un primo grande respiro di libertà.

 

 

Mariella Caressa

articolo da Lotta di Classe

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