Il cooperativismo in Carnia

Dopo il crollo delle borse e le preoccupanti prospettive socioeconomiche, è utile riproporre esperienze storiche di autodifesa e contrapposizione sociale alle logiche di disprezzo sociale imposte dalla  dottrina del capitalismo.
La Carnia, agli inizi del secolo fu luogo di grande fermento sociale propositivo, attraverso lo slancio cooperativistico, particolarmente avversato dalle classi socioeconomiche dominanti, le quali, attraverso la violenza fascista prima e la democrazia cristiana poi, interruppero quel processo di grande rinnovamento  e di progresso in atto ad opera delle classi sociali popolari.

La Carnia, all’epoca terra di emigrazione stagionale verso le zone del nord Europa, si inserì con grande fervore nei processi rivoluzionari che sconvolsero tutti i paesi europei, attraverso quell’anelito di giustizia e riscatto sociale, importato dai stagionali. Questi fermenti sociali rappresentarono la risposta collettiva e solidaristica alla grande miseria imposta.
La prima cooperativa di consumo, di ispirazione anarchica, nacque a Prato Carnico nel 1901. Sucessivamente, nel 1906 si costituì a Villa Santina la “Società Anonima Cooperativa di consumo” che si prefiggeva l’intento di realizzare “un miglioramento economico, morale e sociale della regione” fissando la propria sede a Tolmezzo.
La società aprì il primo spaccio l’anno successivo a Tolmezzo e di li a poco altri cinque spacci in altrettanti paesi carnici.
Dopo qualche anno si costituì la “Cooperativa di credito” la banca della cooperativa di consumo, con il chiaro intento di consentire anche ai soci l’accesso a prestiti che altrimenti non sarebbero loro mai stati concessi se non dagli usurai. Segue poi la Cooperativa di Lavoro che rappresentava la sezione di produzione e lavoro.
Nel 1912 si forma il consorzio delle cooperative di lavoro che iniziò la sua attività con al realizzazione di importanti opere di viabilità.
Già nel 1915 i soci erano 1291 e gli spacci si erano moltiplicati.
LO scoppio della prima guerra mondiale reinserì nel territorio migliaia di lavoratori emigrati all’estero, i quali rimasero disoccupati.
Nel febbraio del 1915 diedro vita ad una grande manifestazione a Villa Santina, fronteggiando alcuni battaglioni di alpini inviati a mantenere la calma.
L’invasione austriaca distrusse tutta l’organizzazione costringendo molti cooperatori a rifugiarsi in Emilia, dove nel 17 costituirono l’Unione delle cooperative che svolsero la loro attività, specie di carattere boschivo in quel di Parma, Como, Piacenza.
Nel 1919, riprese lo slancio di tutta la cooperazione carnica e il consorzio carnico fu forte di 33 cooperative di lavoro con oltre 4000 operai e soci.
Nel 1920 riaprì anche la Cooperativa di credito e promossa l’istituzione “dell’Istituto di economia montana” che sarà poi snaturato e trasferito a Udine dal fascismo.
L’espansione del consorzio arrivò anche nella Val Fella, dove nel 21 vi erano 30 filiali e 3703 soci.
Sempre nel 21 sorse la cooperativa “La Carnica “assicurazioni,che copriva generalmente i danni dovuti agli incendi, struttura che il fascismo trasformeràin Società Anonima, staccandola dalla cooperativa madre.
Sorsero inoltre il “Circolo agricolo”, la “Cooperativa tra frutticoltori “e “l’Ente Forze Idrauliche del Friuli” produttore di energia elettrica, ente che il fascismo combatterà fino a distruggerlo per poi trasformarlo nel potente monopolio della Sade (che operò fino negli anni 60 ,Vajont compreso) dal quale poi nacque l’E.N.E.L.
Il forte potere distruttivo del fascismo, ovviamente sostenuto da un’avida borghesia, che intravedeva in questo processo di autoorganizzazione sociale solidaristica, un grave pericolo per i propri arricchimenti e traffici, oltre che una via propositiva e non violenta di trasformazione sociale;
il mancato pagamento da parte regia di lavori eseguiti dalle cooperative di lavoro, creò una profonda crisi di tutto l’impianto cooperativistico e la chiusura di molti rami dell’organizzazione.
Così gli operai di nuovo ripresero la via dell’emigrazione;
Nel 1926 il potere fascista emanò un decreto che consentiva all’autorità politica, (ai prefetti), la facoltà di scioglimento dei consigli di amministrazione delle cooperative, in particolare di quelle composte da antifascisti.
Fu così che un grande esempio di forza sociale propositiva, non violenta e autogestionaria, fondata sui valori della solidarietà venne annientata dalle classi socioeconomiche dominanti attraverso la brutalità violenta del fascismo.
La Resistenza fu una scelta obbligata per il popolo carnico, peraltro occupato dai cosacchi collaborazionisti dei nazisti ai quali era stato promesso, in caso di vittoria del nazismo, l’insediamento in Carnia da ribattezzarsi in Kosakkenland .
Poi il dopoguerra dominato dalle stesse classi socioeconomiche votatesi alla democrazia (cristiana naturalmente); dal potere clientelare ormai impregnate la vita sociale di tutto il paese e dei partiti vassalli del suddetto potere (il psdi in particolare), svuotarono la Carnia di quei valori solidaristici che furono la forza del riscatto per le classi operaie e contadine, trasformandola in una delle zone più povere e spopolate dell’Italia, alimentando una ulteriore e definitiva emigrazione, impoverendo altresì il retroterra culturale di un popolo, in una massificazione consumistica distruttiva.
Questo breve spaccato storico vuole essere un contributo di riflessione per quelle coscienze che individuano un antagonismo sociale culturale propositivo senza limitarsi al dibattito politico fine a se stesso.
Questa grande stagione, vissuta da anonimi lavoratori e contadini, dei quali si è perduta la ingombrante memoria storica, a mio parere rappresenta una eredità storico culturale di identificazione molto importante per i carnici.
Le  nostre radici sono anche queste.

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