CRISI, MANOVRA E SCIOPERO. GRANDE E’ IL DISORDINE SOTTO IL CIELO …

Della crisi si è già parlato molto: sia del suo venire da lontano, all’interno di un processo che – tra picchi di ripresa e profonde ricadute – data da circa metà anni ’70, così come del suo carattere globale e strutturale che gli epifenomeni speculativo-finanziari non riescono a mascherare. Altrettanto si è parlato negli ultimi tempi delle risposte che i paesi più deboli ed esposti tentano di mettere in atto. Tra questi ovviamente l’Italia e, nello specifico, la cosiddetta manovra d’emergenza o manovra-bis in quanto segue a stretto giro quella ordinaria di luglio.
Non sappiamo ancora come sarà articolata con precisione visto che continua la rissa tra “parti sociali”, partiti politici, lobby di interesse, centri di potere e sottopotere, ecc. su come distribuire i tagli e imposizioni; sappiamo però esattamente quale sarà l’importo della stangata aggiuntiva (43 mld per il biennio 2012-2013) e quale il peso congiunte delle due manovra per i prossimi anni (24 mld per il 2012; 50 mld per il 2013 e 55 mld per il 2014); sappiamo anche che sarà composta da un aumento delle entrate pubbliche e “risparmi” sulle spese dello Stato; sappiamo infine che non toccherà le rendite, i grandi  patrimoni, l’evasione fiscale, le prebende della borghesia di Stato, i privilegi della politica, i profitti; sappiamo invece con certezza che colpirà, come sempre, le condizioni dei lavoratori salariati, dei precari, dei disoccupati, degli immigrati, dei giovani, sia in termini salariali, che pensionistici, e di taglio di servizi. Non servono né scienza, né raffinate analisi economiche per capire che non ci sono rimedi risolutivi, ma solo misure tampone, da opporre ad una crisi strutturale ed irreversibile come quella che stiamo vivendo. Dopo questa crisi ne arriverà un’altra, dopo questa stangata ce ne saranno altre e si dovrà ogni volta tentare di opporsi e rispondere, a difesa di un insieme di conquiste passate e di diritti che sarà sempre più falcidiato. Ma è proprio sulla natura, la portata e l’articolazione di questa difesa – sempre più inefficace –che bisogna interrogarsi.

Nei giorni passati, con inusuale prontezza, sono stati indetti due scioperi generali per il 6 settembre, uno da parte della Cgil, l’altro da parte di settori del sindacalismo “conflittuale” capeggiati da Usb. Mentre il secondo non può stupire, appartenendo alla ritualità degli scioperi autunnali del sindacalismo di base, appare del tutto inconsueta l’immediatezza della mobilitazione cigiellina. La Cgil storicamente ci ha abituati a “ponderazione”, a esasperata mediazione e a centellinare gli scioperi. Secondo questi canoni lo sciopero del 6 settembre appare decisamente “avventurista”, a meno che non si adottino alcune chiavi di lettura che lo rendono comprensibile:

– la necessità di rientrare al tavolo della grande concertazione e la possibilità di farlo non dalla porta di servizio al seguito degli ormai imbarazzanti Angeletti e Bonanni, ma da quella principale, riproponendosi come la confederazione di gran lunga più importante e rappresentativa ed in grado di garantire un più efficace controllo sociale; – frenare le irrequietezze della Fiom o possibili perdite di consensi in settori particolarmente sotto attacco (come il precariato) o eventuali emorragie di iscritti nel pubblico impiego verso sindacati autonomi o di base; – un’apertura di credito nei confronti del Pd, per dare una spallata al languente governo Berlusconi e trarre, in un vicino futuro, i vantaggio di un esecutivo “amico”.

Significativo in questo senso è l’appoggio di bersani e soci al prossimo sciopero.
Siamo dunque di fronte non ad avventurismo ma ad un uso strumentale e opportunistico di una situazione sempre più grave, nella quale si cala l’arma preziosa dello sciopero generale con intenti spregiudicatamente propagandistici e di bottega.
Non meno criticabile appare in queste circostanze la “chiamata alle armi” da parte di Usb e soci che, anticipando il rito dello sciopero generale autunnale cercano di cavalcare la “tigre” Cgil con una piattaforma rivendicativa al rialzo che non riesce ormai più a mascherare le divisioni interne e l’inconsistenza progettuale del sindacalismo “conflittuale”.
Il rischio è che la giornata del 6 settembre si risolva in un propagandistico scontro-confronto di apparati e delle loro capacità mobilitative con il solito balletto di cifre e percentuali, con i lavoratori e i loro problemi sullo sfondo come il convitato di pietra.
Una ennesima ripoposizione di un impasse che, da anni, cela e soffoca le vere ragioni dello scontro sociale e di classe; un cul-de sac da cui è sempre più urgente uscire e per farlo è necessario da parte dei lavoratori riscoprire verità elementari:
La prima è che la rappresentabilità dei propri interessi e la loro perseguibilità non può essere delegata a nessuno perché è compito di ciascuno;
la seconda è che un radicale cambiamento sociale (l’unica vera arma contro il capitale e le sue crisi) se non vuole essere utopia o mistica rivoluzionaria, deve avere le sue basi nel presente, in un progetto complessivo di emancipazione sociale e nelle conseguenti pratiche solidariste, mutualiste ed autogestionarie. Se vogliamo costruire il domani dobbiamo farlo oggi.

Guido Baroero per Arti e Mestieri-USI-AIT

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