La salute nel bagagliaio

Ecco uno scenario plausibile, nel futuro prossimo, con la globalizzazione della sanità: ogni lunedì, ore 09.00, sarà in partenza dall’aeroporto Internazionale della Capitale, destinazione Città di Germania, un aereo con il carico di assistiti destinati a sostituzione di valvola cardiaca, persone provenienti da ogni parte della nazione con simile patologia cardiaca, guidati dalle hostesses dell’agenzia di viaggi, verranno accompagnati presso una struttura accreditata ad alta specializzazione, in cui nel giro di pochi giorni, ognuno verrà sottoposto a sostituzione di valvola, dopodiché, rimesso a nuovo, ritornerà a casa, tutto garantito dall’assistenza sanitaria statale o dall’assicurazione sanitaria. Ogni martedì dallo stesso aeroporto, partirà per destinazione Città di Ungheria, aereo con carico umano afflitto da calcoli nella colecisti. Tutti gli elementi del carico saranno colecistectomizzati, nella stessa giornata, e ritorneranno in patria più leggeri e soddisfatti. La scena si ripeterà per gli altri giorni della settimana: il mercoledì andrà in India chi deve ricevere un trapianto di rene, il giovedì, destinazione Dubai, chi deve sottoporsi a protesizzazione peniena, sostituto il pezzo di ricambio, si andrà alla grande come ai bei tempi, e così via.

Le partenze saranno previste anche la domenica, muniti, a richiesta, dei conforti religiosi. Eventuali complicanze post-intervento saranno gestite dal sistema sanitario del paese di provenienza. I costi e i tempi di attesa saranno dimezzati, la qualità sarà garantita dall’alta specializzazione delle strutture accreditate, i vantaggi sono previsti per tutti: sistemi e persone.

Il turismo della salute verso paesi esteri è sempre esistito; sostenuto, in Italia, soprattutto da v.i.p., da gente con denaro o da intraprendenti e pionieristiche famiglie di soggetti afflitti da particolari patologie che richiedevano strutture selezionate, presenti all’estero. In alcuni paesi raggiunge picchi rilevanti. Diventerà la regola? E’ quanto auspicato da una proposta formulata, in gran segreto, in un documento del trattato commerciale internazionale TISA (Trade in Services Agreement, accordo di commercio dei servizi) sulla delocalizzazione dei sistemi sanitari nazionali. All’accordo aderiscono cinquantatré paesi, compresi gli aderenti dell’UE. Si riuniscono periodicamente per formulare proposte e prospettive d’intervento nel campo delle liberalizzazioni negli scambi di servizi fondamentali. Nella prossima riunione settembrina condivideranno le riflessioni sull’argomento in questione: delocalizzare i sistemi sanitari, favorire lo scambio, tra paesi esteri, dell’assistenza alla salute e deregolamentare la dimensione pubblica di erogazione dei servizi a livello nazionale. Gli obiettivi dichiarati sono: ridurre le insostenibili spese sanitarie, dimezzare i tempi di attesa, rimediare alle croniche carenze di personale specializzato, promuovere i rimborsi da parte dell’assistenza statale o delle assicurazioni per trattamenti a più bassi costi in altri paesi, migliorare la qualità delle cure, creare, infine, le condizioni per favorire concorrenza tra paesi e regolare una logica di mercato in campo sanitario. Il documento è stato pubblicato dalla rete dell’organizzazione non-profit AWP ( Associated Whisteblowing Press) il 4 febbraio scorso da Bruxelles. E’ stato oggetto di critica e di riflessione da parte di aderenti alla federazione unitaria sindacale del settore pubblico PSI (Public Services International), di cui è segretaria l’italiana Rosa Pavanelli, da parte dell’avvocato neozelandese, militante non-global, Jane Kelsey, in Italia da un articolo su Repubblica di Vittorio Longhi, e da un richiamo sul quotidiano comunista on-line Contropiano. La Kelsey analizza il contenuto del documento e ne profila le negatività per i sistemi di assistenza nazionali, per i sistemi sanitari nei paesi di accoglienza e per i pazienti viaggiatori, a tutto beneficio di privati e di multinazionali. Pavanelli dice che i sistemi sanitari esistono per dare alle famiglie sicurezza e salute, e non per assicurare profitti alle grandi Corporazioni; la salute rimane un diritto umano non negoziabile. Un membro del governo italiano, il sottosegretario allo sviluppo economico Carlo Calenda, nega che il servizio sanitario sia argomento incluso nel TISA.

Costi e contenuti dei sistemi sanitari nazionali sono costantemente sotto la lente d’ingrandimento, una minuziosa osservazione da parte di organismi sovranazionali, a indirizzo economico, che ne attestano vitalità o difetti e si ardimentano ad annunciare la dissezione finale del modello dominante, nei paesi sviluppati, del servizio pubblico e sociale, garantito da norme e istituzioni statali e ad auspicare la transizione verso un modello orientato dal/sul mercato, in cui il bisognoso di cure mediche diventa un consumatore a tutti gli effetti. La salute acquisisce indelebili etichettature di mercato. Quali criticità inaccettabili si rilevano le incongruenze ideologiche di un simile impianto: la salute quale oggetto di contrattazione, sostenuta dalla motivazione del profitto, e le incongruenze pratiche: l’impoverimento della formazione culturale e scientifica degli operatori sanitari; una alterata relazione medico-paziente con ripercussioni su uno dei cardini della funzione medica: prendersi cura della persona malata; una destrutturazione, per demotivazione economica, di potenziali sbocchi di eccellenza; una deviazione impropria delle risorse.

L’uomo e il suo lavoro, inteso nella figura di rifinitore di prodotti finiti, di oggetti, di beni, non è più al centro degli interessi primari delle lobbies finanziarie e delle multinazionali che sovrastano il potere economico mondiale. Un’avida attenzione è rivolta ora alla privatizzazione di tutti i servizi fondamentali su cui le società occidentali mantengono il consenso: i sistemi educativi, le comunicazioni, la distribuzione dell’acqua potabile, i sistemi sanitari. Il proclama è di liberalizzare i servizi e deregolamentarne la dimensione pubblica di erogazione a livello nazionale. Il ciclone del mercato rimescola conquiste, beni, strutture, prospettive e vite umane.

L’emancipazione sociale dell’uomo e la valorizzazione prioritaria della coscienza individuale sono le risorse concettuali a cui anche la medicina, quale scienza e applicazione alla cura dell’uomo con salute alterata, deve approvvigionarsi per un percorso di libertà e di progresso. La visione di mercato imposta dal sistema liberista non và in questa direzione e i propositi annunciati attestano le evidenze di regressione. Il movimento sindacale internazionale prende coscienza dei pericoli e si organizza intorno al punto fondamentale, in ambito sociale, che non può essere messo in sordina: il diritto alla salute fisica e mentale. Il sindacato sanitario deve contrastare la privatizzazione e il ridimensionamento della valenza pubblica della sanità e deve, altresì, prendere le distanze da certa medicina primitiva, rozza e localistica praticata in molti territori nazionali. Una medicina strutturata per soddisfare piccoli bisogni e piccoli armamentari ideologici, sotto forma di cupolette e parrocchiette, sotto l’egida di stato. Un inviluppo di figure umane improvvisate e demotivate, di edilizie sorte come funghi solitari, di apparati burocratico-amministrativi mastodontici, messi a riempire il campo, tutta una piroetta campanilista e clientelare priva di ogni afflato universalistico e umanitario, concentrata sull’auto-mantenimento perpetuo e sullo sviamento da ogni complessità che ne possa compromettere la parassitaria quiete.

15.02.2015     AMATO RIZZO     USI-AIT SANITA’-NAPOLI

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