Francia 1923: documento USI inedito

NEL TERZO ANNIVERSARIO
DELLE OCCUPAZIONI DELLE FABBRICHE IN ITALIA DEL 1920
IN UN DOCUMENTO DELL’UNIONE SINDACALE ITALIANA
NELL’ESILIO FRANCESE
(PARIGI 1923)

 

Tra le numerose carte e documenti raccolti in decenni di attività dallo storico e militante anarchico Max Nettlau e che ora sono depositati presso l’Istituto di Storia Sociale di Amsterdam, abbiamo rintracciato un manifestino in francese a firma dell’Unione Sindacale Italiana. Con la sua consueta precisione M. Nettlau aveva annotato a penna: “Italia, 1923“; significando che si trattava di un volantino italiano (che purtroppo non riporta alcuna data, fatto piuttosto consueto all’epoca) stampato e diffuso in Francia (presumibilmente a Parigi dove dal 1922 viene costituito dai primi esuli un “Comitato di soccorso ed aiuto fra i profughi” e che si trasformerà nel 1923 in “Comitato d’Emigrazione dell’Usi in Francia”).
Il manifestino è rivolto ai lavoratori italiani, ai rifugiati politici e ai compagni di tutti i paesi per ricordare a tre anni di distanza la grande esperienza delle occupazioni delle fabbriche del settembre 1920, il ruolo dell’Usi e quello di chi ha tradito o affossato un grande esperimento di trasformazione sociale a cui ha fatto seguito una feroce repressione da parte dello Stato, del padronato e degli agrari che hanno armato la mano fascista.
Ci è sembrato importante tradurre dal francese il documento in modo da farlo conoscere ai compagni di oggi, ma prima riteniamo opportuno precederlo con delle brevi note per ricollocarlo in una sua più coerente fase storica che riprendiamo dal saggio di Franco Schirone L’Unione Sindacale Italiana tra esilio e clandestinità (1923-1945) (1)

Dal 25 dicembre 1922 al 2 gennaio 1923 a Berlino si tiene il Congresso Internazionale Sindacalista Rivoluzionario che sancisce la nascita dell’A.I.T. (Associazione Internazionale dei Lavoratori), l’organismo che raccoglie i sindacati che non si riconoscono né in Mosca, né nei suoi “Sindacati rossi” ormai divenuti strumento in mano ad un partito.
Questo importante evento si accompagna però ad una situazione italiana molto difficile.
Sono ormai due anni di stragi, di terrore fascista e di distruzioni delle Camere del Lavoro sindacaliste, delle Case del Popolo, delle organizzazioni operaie, della stampa rivoluzionaria. Tutto questo non si conclude con la “marcia su Roma” dell’ottobre 1922, anzi, la reazione si fa ancora più feroce.
Un resoconto inequivocabile appare su «Sempre»: di 105 Camere del Lavoro aderenti all’Usi, restano in piedi solo quelle di Milano, Torino, Parma, Imola, Cesena, Pisa, Viareggio e Roma!
I giornali sindacalisti rivoluzionari e i fogli anarchici sono costretti a chiudere assieme al quotidiano anarchico «Umanità Nova» che da un anno ha ripreso le pubblicazioni grazie soprattutto alla volontà dei sindacalisti dell’Usi di Roma (2), le tipografie sono incendiate e distrutte negli assalti fascisti, i quartieri operai (Torino, La Spezia…) vengono invasi dagli squadristi che provocano decine di morti.

Nel 1923 sono oltre trentamila gli aderenti all’Usi profughi nel mondo; altrettanti sono costretti ad allontanarsi dai propri paesi e città per trovare rifugio in altri luoghi della penisola (3); sessantacinquemila lavoratori delle ferrovie, ritenuti sovversivi insieme ai loro organizzatori sindacali dello Sfi, sono licenziati in tronco per rappresaglia politica (4), senza contare gli oltre 35 secoli di condanne che i tribunali elargiscono in processi farsa contro i lavoratori dell’Usi in tutta la penisola.
A dicembre del 1923 «Guerra di Classe», il battagliero settimanale dell’Usi, viene soppresso dall’autorità governativa, ma già nel corso dell’anno è costretto ad uscire a singhiozzo. Si legge in uno degli ultimi numeri: … Noi viviamo. Si, viviamo come può vivere un organismo sindacale in momenti difficili, gravi con la sua ossatura rotta in molte parti, con la quasi totalità dei migliori suoi elementi in esilio o in carcere.
Il giornale esce come e quando può perché è risaputo che le risorse finanziarie dei compagni sono assorbite in gran parte dall’assistenza agli innumerevoli vittime del ciclone ricostruttore.
Nei tempi della prosperità ci furono offerte somme ingenti per sostenere una tesi dittatoriale non nostra. Rifiutammo. Decimate le nostre forze a colpi di maglio fascista, avremmo potuto chiedere aiuti là dove si dispensano a profusione i milioni. Ma no, abbiamo preferito la nostra onorata povertà piuttosto che asservirci a quella specie di imperialismo rosso che nulla ha a che vedere con il socialismo operaio o col sindacalismo rivoluzionario e col comunismo libertario.
Risorgeremo domani? In un domani vicino o lontano? Le domande sono superflue in chi ha una convinzione salda, una fede. I compagni, i lavoratori tutti devono convincersi che bisogna saper vivere e combattere per la buona causa anche in piena reazione
(5).

Costretti a scegliere l’esilio (Francia, gennaio 1923), A. Borghi e V. D’Andrea si ritrovano in una già numerosa comunità di profughi sindacalisti ed anarchici. Pochi volenterosi, tra i primi ad arrivare agli inizi del 1922, costituiscono a Parigi un Comitato di soccorso ed aiuto fra i profughi, realizzando per quanto possono ciò che è nella loro volontà, tenendo conto della non conoscenza della lingua, delle tristi condizioni economiche, dell’instabilità del lavoro e infinite altre difficoltà. Dopo mesi di lavoro per un coordinamento ed a fronte di una situazione che vede altre migliaia di esuli provenire dall’Italia, viene costituito nel 1923 un “Comitato d’Emigrazione dell’Usi in Francia” in cui si adoperano nuove forze di militanti che conoscono la lingua, prendono contatti con la componente sindacalista rivoluzionaria francese e fanno conoscere ai lavoratori d’oltralpe la situazione venutasi a creare in Italia. In questo modo il Comitato d’Emigrazione riesce ad allargarsi e apportare maggiori risultati in difesa delle vittime della reazione, un ausilio ai molti che consiste sia nell’aiuto in denaro, sia per trovare una occupazione (un aiuto proviene soprattutto dalla Federazione Edilizia), o per assistenza legale o medica, senza fare esclusivismo di tessera, socialisti, sindacalisti, anarchici, comunisti: furono nella misura del possibile aiutati da noi senza chiedere passaporti politici a nessuno … (6)

NOTE:
1) Pubblicato in ALMANACCO DI “GUERRA DI CLASSE”, 1912-2012, edito dall’Unione Sindacale Italiana U.S.I. – A.I.T.
Novembre 2012. Con stesso titolo ma con una appendice I giornali dell’Usi: 1912-1996 viene stampato dalle Edizioni Bruno Alpini, Imola, 2013, pp. 68.
2) Alcuni nomi: Spartaco Stagnetti (segretario del Sindacato Ferrovieri, viene poi assassinato al confino di Ustica nel 1927), Ciciarelli Cesare (Direttivo C. d. L. Confederale di Roma), Diotallevi Angelo, Temistocle Monticelli; altri sindacalisti rivoluzionari di varie località che collaborano con «Umanità Nova», edizione di Roma, sono: Sbrana A., Castrucci A., Giovannetti Alibrando, Negro Antonio, Sacconi Riccardo, Nencini C., Fornasari S., Vecchi N., Radich F, cfr GIUSEPPE SCALIATI, Umanità Nova a Roma, maggio 1921- dicembre 1922, in Cronache anarchiche, Zero in Condotta, Milano, 2010.
3) Il nostro bilancio morale, «Guerra di Classe», 18 novembre 1923.
Per una storia del Sindacato Ferrovieri Italiani vedi A. CASTRUCCI, Battaglie e vittorie dei Ferrovieri italiani, Zero in Condotta, Milano, 1988.
4) A piombo. Morto che parla, «Guerra di Classe», 18 novembre 1923, l’articolo è a firma di FILONE, pseudonimo sotto cui potrebbe celarsi A. Giovannetti.
5) V. MASSEROTTI, Comitato d’Emigrazione dell’Usi in Francia, datato Parigi, aprile 1924, in «Calendimaggio», n. u., edito a cura dell’Usi, Milano, 1924. Sullo stesso numero unico c’è un altro interessante articolo di V. Masserotti, Emigrazione e reazione padronale in Francia.

Qui di seguito il manifestino tradotto dal francese e diffuso oltr’Alpe nel settembre 1923. La traduzione è stata curata da Fabio Esposito.

 

Unione Sindacale Italiana
(Associazione Internazionale dei Lavoratori)

Agli Operai italiani!
Ai rifugiati in seguito alla reazione!
Ai compagni di tutti i Paesi!

TERZO ANNIVERSARIO DELL’OCCUPAZIONE DELLE FABBRICHE
1-20 SETTEMBRE

Compagni

L’occupazione e la messa in stato di difesa delle fabbriche in tutta Italia è stato un avvenimento di una così grande portata rivoluzionaria e così piena di speranza che commemorarla è più di una questione sentimentale – è un dovere.
Oggi ancora possiamo richiedere ad alta voce tutta la vostra ammirazione per questo magnifico gesto delle masse lavoratrici, in quanto coscienti dell’inettitudine delle rivoluzioni politiche basate sulla conquista dello Stato, dato che noi siamo stati, nella lotta all’interno della fabbrica e per la fabbrica, i propagandisti più tenaci dalla fine della guerra; siamo stati, nelle lotte locali, i precursori dell’azione del settembre 1920; visti i giorni gloriosi che hanno dimostrato tanta audacia e dato tante speranze, noi siamo stati con tutte le nostre forze, all’avanguardia di un movimento; perchè abbiamo lottato con forza contro gli intrighi dei politici che poi hanno cercato di salvare il regime; perchè abbiamo respinto qualunque compromesso con il governo; perchè, infine, non è all’audacia gloriosa del proletariato in lotta per la sua emancipazione che bisogna imputare la reazione a cui è seguita la sconfitta, ma è al disfattismo antirivoluzionario dei politici che dobbiamo attribuire tutta la responsabilità della sconfitta del proletariato.
Compagni, Lavoratori!
Il grande crimine di questo movimento è stato, agli occhi dei politici di tutte le sfumature stataliste, il seguente: il suo carattere libertario, sociale e sindacalista, la sua base chiaramente contraria ai vecchi sistemi rivoluzionari di partito, oggi rimessi a nuovo, il cambiamento del regime statalista. Il proletariato aveva trovato la sua strada, e la rivoluzione, nei paesi dove i primi germi del socialismo sono stati seminati da Bakunin, che è iniziata l’occupazione nelle fabbriche, poi nei trasporti, poi nei campi, nelle miniere; in questo modo prese vita tutta la velleità di conquista statalista sia dei minimalisti, sia dei partigiani della dittatura politica. Questi ultimi non hanno potuto fare altro che di diffidare di questa rivoluzione. Così, in presenza di un dilemma urgente – o agire in accordo con le forze che erano favorevoli all’azione, o subire la disciplina delle decisioni dei funzionari confederati a favore della restituzione degli impianti – gli estremisti del socialismo e del comunismo hanno voluto salvare la loro unità d’insieme con i riformisti, assicurando, di fronte alle masse che hanno creduto in loro perché rivoluzionari, le manovre dei riformisti che questi ultimi non sono stati in grado, da soli, di fare accettare a queste masse.
Lavoratori, Compagni!
Oggi ancora, mentre la Germania è agonizzante e a noi perviene l’eco di una politica rivoluzionaria autocelebrativa, esclusivamente preoccupata della conquista giacobina dello Stato facendo delle masse uno strumento di dominazione invece che di una forza di azione e di ricostruzione; mentre la politica russa annulla l’istituzione geniale proletaria e rivoluzionaria dei soviet e concentra tutto nella macchina militare dello Stato – ricordare la lotta per le fabbriche nel settembre del 1920 – significa riflettere su questa grande esperienza a favore delle lotte future del proletariato.
E a quelli che ci dicono che l’occupazione delle fabbriche ha messo in evidenza la debolezza tattica del sindacalismo rivoluzionario perché lo Stato deve essere conquistato, noi rispondiamo: non è la conquista ma l’eliminazione dello Stato era la conseguenza logica di questo movimento italiano.
Compagni, Operai!
Ricordatevi! Questo anniversario glorioso non avrà oggi gli echi delle brucianti commemorazioni in Italia, dove il proletariato è schiacciato. Ma le migliaia di compagni d’Italia, vecchi e giovani si ricorderanno di questo avvenimento dal fondo delle loro celle, mentre le migliaia di madri e di vedove piangeranno i loro figli e compagni assassinati.
Ricordatevi! Il proletariato ha lottato senza brutalità per la giustizia sociale. La borghesia ha lottato con ferocia per i suoi privilegi.
Ricordatevi! Infine, che se, in Italia, i più grandi responsabili della sconfitta del 1920 vogliono ora gettarsi ai piedi del governo fascista, c’è dall´altra parte un proletariato, all’interno del quale il ricordo delle lotte e nonostante le sconfitte patite, ha una grande voglia di lottare di nuovo al fianco del proletariato mondiale per l’emancipazione dell’umanità.
Compagni!
A nome dei nostri scomparsi, a nome dei migliaia di prigionieri il cui numero cresce tutti i giorni grazie ai macelli giudiziari, noi gridiamo:
Viva la memoria del magnifico movimento del 1920.
Viva il sindacalismo operaio rivoluzionario!

L’Unione Sindacale Italiana
(Sezione dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori)

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