Dove va la Confederazione Generale del Lavoro?

Alberto Meschi, Dove va la Confederazione Generale del Lavoro


Perché l’opuscolo di Meschi qui riproposto in pdf non sarebbe soltanto un documento, irrimediabilmente ignorato dalle scelte delle persone e dal corso delle cose, ma uno scritto che parla al presente e al futuro?

Meschi ha una chiarezza espositiva e di analisi che orienta ancora chi è, a ragione, disorientato nella vita sindacale di oggi: nella sua scrittura ci sono poche frasi fatte e poca ideologia, ma una chiarezza ed una concretezza esemplari.
Anche le questioni sindacali trattate nell’opuscolo, ciclostilato a Torino nel 1976, continuano a parlarci perché il ragionamento di Meschi è costruito sul contrasto tra la pratica delle organizzazioni sindacali, come la Cgil del 1947, in cui Meschi del resto militava, e i principi dell’AIT che l’Autore contrappone alla burocrazia sindacale, alla politica che usa i problemi dei lavoratori come fossero vacche da mungere, allo scoraggiamento e all’abbandono a se stesso di chi vive del suo lavoro.
Riferirsi ai principi dell’AIT però non vuol dire mettere insieme tutto e il suo contrario: Funzione pubblica Cgil che, come a Massa e Carrara, in spregio allo Statuto dei lavoratori, fa domande sui nomi delle iscritte ad Usi e le lavoratrici delle cooperative iscritte ad Usi costrette a nascondersi per evitare ritorsioni. La chiarezza di Meschi non ammette equivoci: conta quello che si fa.

Il muratore Alberto Meschi si forma come sindacalista tra Genova, l’Argentina, nel sindacato Fora, e la moderna città di La Spezia, agli inizi del Novecento, città di futuristi libertari e roccaforte dell’anarcosindacalismo (in una stagione irripetibile di Usi) da cui Meschi si sposta a Marina di Carrara e poi a Carrara promuovendo lotte lontane e indimenticabili della storia sindacale, come nella Piana di Luni, tra i mezzadri e i minatori che ottengono, i minatori, le 6 ore di giornata lavorativa.

L’esempio di Meschi arriva agli anni Novanta del Novecento, quando nei paesi del marmo si costituisce il cobasmarmo. Da allora questo sindacato, in particolare il suo segretario Giovanni Pedrazzi, si ispirò costantemente a Meschi nell’attività sindacale, nella pubblicazione di libri e nell’organizzare convegni, nel promuovere organismi di intervento sociale come il comitato AntiGaia, la lega dei cavatori di Miseglia e l’Unione inquilini.

Il rischio, nel considerare Meschi, è cadere nel folklore. Il folklore ha dentro di sé un modo di vedere le cose, le persone e il mondo, contiene idee ed azioni che un tempo sono state vive, efficaci ed hanno aiutato le persone ad orientarsi nel mondo, a risolvere i problemi pratici che la vita di volta in volta gli metteva davanti e a migliorare. Il folklore però tiene bloccati quei saperi, tecniche, idee in una ripetizione sempre uguale a se stessa, immobile, malata, in una psicosi.

Quanto folklore c’è (non c’è solo folklore, ma anche sete di potere, ricerca di un ruolo e di un posto da parte di un ceto di vecchi e nuovi funzionari) quanto c’è folklore nell’opinione che il grosso sindacato confederale criticato da Meschi nel 1947 continui a difendere chi vive del suo lavoro? Proprio per farsi una coscienza e ricostruirsi una capacità di intervento efficace sulle cose è utile un testo come “Dove va la Confederazione generale del lavoro?” di Meschi.


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