CONSEGUENTEMENTE E COERENTEMENTE …

… la crisi profonda che sottostà all’emergenza finanziaria mondiale di cui tanto si parla, è l’ultimo amaro boccone della fase apertasi nel 2007 con l’esplosione della bolla speculativa degli hedge funds e il tracollo dei principali istituti creditizi americani e non solo.
Il salvataggio di questi è costato carissimo alle finanze federali degli USA, la cui economia stava solo ultimamente risollevandosi con fatica dal picco recessivo di quattro anni fa.
Il crescere del debito pubblico, sommato all’andamento non esaltante del PIL americano, ha determinato un deficit di bilancio inusuale per il paese con l’economia più forte del mondo, spingendolo sull’orlo del default (fallimento) e acutizzando il timore di un double dip: un altro picco recessivo in relativa continuità con il precedente.

… i riflessi sull’Europa e sull’area euro di quello che succede oltreoceano sono, al solito, diretti e immediati. Particolarmente i paesi più deboli (sotto vari aspetti) dell’eurozona ne scontano le conseguenze più disastrose.
Non da oggi, economisti e tecnici del settore indicano nei paesi PI(I)GS (insultante acronimo maialesco ad indicare Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) quelli destinati a saltare.
Inutile dunque meravigliarsi oggi, come fa Tremonti, parlando di una accelerazione “imprevedibile” degli avvenimenti o gettare le colpe sulla speculazione internazionale. La speculazione sui titoli di Stato (siano greci, italiani o altro) non è una causa ma un effetto: gli avvoltoi attaccano i moribondi, non chi è in buona salute.

… la manovra d’emergenza varata dal nostro governo, e ancora passibile di revisione (45 mld spalmati sul prossimo biennio), su pressione degli “eurotutori” Merkel e Sarkozy affinché si raggiunga a breve un improbabile pareggio di bilancio, riversa i suoi costi – inevitabilmente – sulle condizioni di vita dei lavoratori.
Nulla di nuovo, cambiano solo le forme e l’ampiezza della stangata, non certo la sua sostanza. Infatti, a parte  qualche foglia di fico – come il cosiddetto contributo di solidarietà per il redditi medio-alti e alcuni irrilevanti tagli ai “costi della politica” – non c’è, al solito, nessuna traccia di “equità”.
Il nocciolo duro della manovra impatterà le condizioni del lavoro salariato: l’età pensionabile (innalzata per le donne, ma presto per tutti legata alle aspettative di vita), il TFR (posticipato o addirittura fatto sparire spalmandolo mensilmente), la tredicesima (che potrebbe diventare un optional legato alla produttività), i servizi sociali (inevitabilmente compromessi dai tagli dei trasferimenti dallo Stato agli enti locali), ecc., ecc.
Insomma una manovra che a ben vedere e al di là di alcuni aspetti folkloristici, è in linea con analoghi provvedimenti del passato (ivi compresi quelli dei governi di centro-sinistra) in quanto risponde alle stesse logiche: tamponare le difficoltà croniche (e irresolvibili) del capitalismo nostrano, falciando i redditi da lavoro, salvando le grandi rendite e aiutando la crescita dei profitti.

… su un piano più generale il malessere sociale dilaga, anche se stenta a delinearsi una risposta di classe generalizzata, in Italia come altrove, almeno nelle forme in cui siamo abituati a concepirla.
Rivolte urbane come quella che ha infiammato Londra hanno comunque un che di episodico e di eccezionale soltanto all’apparenza.  Nella sostanza scadenzano momenti di grave crisi nelle società capitalistiche.
Da Detroit 1967 alla Londra di oggi, passando per Los Angeles 1991 e le banlieues parigine del 2005, sono esplose ciclicamente rivolte durissime, senza apparente risvolto politico e accumunate principalmente dal tasso di violenza espresso e dagli obiettivi materiali (attacchi alla polizia, devastazioni e saccheggi di negozi, incendi di edifici e di auto) dei rivoltosi, provenienti da quartieri periferici delle metropoli.
A ben vedere nessun movente esplicito, neppure quello della discriminazione etnico-razziale o quello di necessità vitali di sopravvivenza, ma piuttosto un mix di concause cementate da un profondissimo disagio sociale.
Un disagio che esprime il fallimento dell’ideologia capitalista delle pari opportunità per tutti. Si può continuare a produrre beni ma non a fingere che siano per tutti.
Contraltare ai riots metropolitani sono le proteste civili come quelle degli indignados madrileni (o per restare a noi, quella del microcosmo parmense) che rivelano un altrettanto evidente fallimento: quello della possibilità di rappresentare i troppi interessi all’interno e tramite i meccanismi statuiti della democrazia borghese elettiva e i suoi docili strumenti, i partiti.

… in questo senso la crisi appare come la “grande livellatrice” che fa tabula rasa delle residuali conquiste e dei diritti del lavoratori, ma anche delle illusioni di riformabilità o anche semplicemente di migliorabilità dell’esistente.
In egual misura appare inadeguato, seppur doveroso, l’attestarsi da parte dei lavoratori su una pura linea di difesa contro un attacco padronal-governativo sempre più forte. Quando le trincee cadono una ad una e nonostante strenue difese, l’ultima battaglia sembra sempre la più importante, anche perché dopo può non esserci più nulla da difendere.
Fuor di metafora, la semplice difesa del prezzo e delle condizioni a cui si vende la forza-lavoro lega sempre più, come un cappio, i lavoratori alle sorti del capitale. La crisi, disvelando questo storico laccio nel modo più esplicito e tentando di rafforzarlo nel modo più brutale, gli toglie ogni fascinazione residua e impone di metterne in discussione la sua inevitabilità.
Messa in discussione che però non può restare sul piano teorico ed astratto della necessità/possibilità di una società diversa, ma deve concretarsi nella progettazione e nella costruzione di un’economia alternativa (e non sussidiaria) a quella esistente.
Non c’è nulla di utopico nel pensare di sottrarre intelligenze, energie e lavoro al capitale, per sviluppare concretamente l’autonomia e l’autosufficienza dei lavoratori, né vale più di tanto l’obiezione che ci si debba sempre adeguare alle leggi ferree del mercato, sarebbe sempre meno vero mano a mano che una rete alternativa di produzione/distribuzione/scambio crescesse.

Guido Barroero

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