Appropriazione indebita………della storia.GIÙ LE MANI da NICK E BART

Una pratica molto diffusa attualmente da parte politica e sindacale, è quella di appropriarsi della storia degli altri per poter apparire “puliti” o pre dare lustro alla propria inconsistenza. Già abbiamo segnalato che i fascisti usano figure storiche di area libertaria per potersi riciclare e garantirsi una faccia pulita di fronte all’opiione pubblica. Di eseguito ancora un caso di apporpriazione indebita, piuttosto penoso, che vale però la pena di segnalare.

Il 23 agosto 2010 a Torremaggiore, alla presenza del parlamentare dell’IDV Antonio Di Pietro è stata inaugurata la sede dell’Associazione Sacco e Vanzetti fondata dalla sig.ra Fernanda Sacco, ultima nipote vivente di Nicola Sacco. La sig.ra è stata autrice di una feroce e stizzosa missiva nei confronti del compagno Giuseppe Galzerano (e, riteniamo, anche nei confronti della memoria dello stesso Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti) che ha provocato l’intervento di Dante Lepore e la risposta conclusiva di Galzerano. La sig.ra Sacco afferma che è assolutamente impossibile avere un confronto, perchè lei e l’Associazione vogliono parlare della condanna per un delitto a scopo di rapina, mentre noi vogliamo parlare solo del loro ideale politico: l’anarchia. Beh, è l’unica cosa giusta che ha detto e che c’azzecca veramente sfruttando il linguaggio dei marpioni e, scusate se è poco. Tutto il materiale è stato inviato da Franco Schirone.

La lettera di Fernanda Sacco
Gentile Editore Galzerano,
dalla risposta del Presidente dell’Associazione ‘Sacco e Vanzetti’, dott. Matteo Marolla avrà appreso che l’ultima nipote vivente di Nicola Sacco ha voluto fondare l’Associazione in ricordo dei due martiri. Ebbene, sono io Fernanda Sacco, e, quasi offesa, Le scrivo per informarLa di tante cose che LEI non sa. Da oltre 30 anni (ottantenne!) mi dedico a questa causa. Voglio portare ai giovani, nelle scuole, il ricordo dei due emigranti italiani, condannati ingiustamente. Gentile Editore, Sacco e Vanzetti, appartengono alla storia, al mondo intero, a tutte le ideologie che amano e difendono la Giustizia e non può essere solo un appannaggio del Movimento Anarchico. Come socialisti, noi di famiglia, Sacco, abbiamo sempre condannato le su e idee politiche, ma ci siamo ribellati contro la condanna per omicidio a scopo di rapina. E’ questo che io comunico ai giovani, senza interessi politici, perciò noi ci sentiamo liberi di invitare tutti quelli che sostengono la loro innocenza! Coma fa lei a dire che i due si sentivano poco italiani se lo hanno gridato fino all’ultimo istante? Perchè non dice che andarono nel Messico per sfuggire al Servizio di Leva in USA (anche per gli emigranti) e non perchè non volevano rientrare in Italia? Il Vostro movimento anarchico non ci interessa, anzi aggiungo che conservo dei brutti ricordi: tafferugli e scontri nella sede RAI di Torino e a Villafalletto nel 1977. Avevano persino deciso di togliere dalla lapide di mio zio il suo nome di battesimo, Ferdinando, perchè, a loro dire, per la Storia era Nicola. E per ultimo Le dico: una gentile signora del Centro Italia, mai conosciuta, ma invitata proprio perchè anarchica, voleva imporre prepotentemente la sua nomina a Presidente della nostra Associazione. Gentile Editore, Lei con la Sua lettera ha voluto scagliare un’ultima bombetta… ed io senza farLa dispiacere troppo, voglio darLe un’ultima notizia: ho acquistato personalmente quella sede, che resterà per sempre ‘ASSOCIAZIONE SACCO E VANZETTI’ ed ho ospitato il Partito dell’Italia dei Valori, perchè difende la Giustizia, quella che Sacco e Vanzetti non hanno avuto. Gentile Editore, il tutto ci fa pensare che è assolutamente impossibile avere un confronto, perchè noi parliamo della condanna per delitto a scopo di rapina, voi volete parlare solo del loro ideale politico: l’anarchia.
Fernanda Sacco

L’intervento di Dante Lepore
Si può scusare certamente una donna sconclusionata, nonché disinformata e priva di quella cultura politica e statura morale che possa consentire di prendere dignitosamente parola in merito a una figura come “Nicola” Sacco che, sotto tutti gli aspetti, trascende ogni angusto carattere parentale e locale per incarnare un complesso di idee che lo hanno portato alla propria persecuzione e alla morte per mano del boia nelle vesti di giustiziere. Si può, per carità di popolo, si può sorvolare sulle sue gaffe. Ma quel che non si può tollerare è la profonda offesa fatta proprio da Fernanda Sacco all’uomo e alle idee che portarono Nicola Sacco alla morte (perché se ad un uomo si tolgono le sue idee cos’altro rimane?), offesa portata altresì a tutta la gene-razione di anarchici e socialisti che ha combattuto contro le condizioni del capitalismo di allora. Anche chi sostenesse che la storia di Sacco e Vanzetti appartenga all’umanità intera (ce ne sono molti con
questa sub-dola posizione orpellata di laicismo, a-politicismo, equidistanza e simili…) mente spudoratamente, perché in questo modo anche i loro carnefici di allora e i detrattori di oggi potrebbero legittimamente appropriarsi di una fetta dei loro cadaveri. Non c’è molto da aggiungere a quanto già l’editore Galzerano, in modo preciso ed elegante, ha scritto in risposta a questa signora che per la seconda volta inalbera il concetto di “Giustizia” per condannare le idee di un uomo e di una consistente fetta di umanità. Anche il film di Montaldo ha lapidariamente sottolineato quanto poco c’entri nella fattispecie la “giustizia” con l’assassinio di chi è realmente, responsabilmente e dichiaratamente “colpevole” di essere antimilitarista, internazionalista e anarchico. Questa patetica signora ottantenne, che non era ancora nata ai tempi in cui Sacco emigrò in America (1908) e neppure quando fu condannato (1927), non ha neppure la scusante della passione dell’epoca, quando afferma, con candida arroganza e scarso rispetto della storia dei rapporti tra socialisti a anarchici: “abbiamo sempre condannato le sue idee politiche”, in quanto la “famiglia” Sacco (come fosse, questo vincolo genetico, un connotato tribale) sarebbe stata socialista. Quando poi questa rispettabile signora ottantenne usa lo “zio” come si farebbe per ostentare un vino locale di prestigio o si sfoggi il visone per l’occasione, diventa davvero patetica nella sua ossessione mediatica. E nega che Nicola (che si ostina a chiamare Ferdinando perché così vorrebbe l’anagrafe e somiglia un poco a Fernanda) fosse antipatriottico, secondo l’idea (non solo anarchica!) secondo cui “nostra patria è il mondo intero, nostra legge è la libertà”. Francamente ho conosciuto altri parenti di Nicola Sacco (dal famoso fratello di Nicola e sindaco socialista Sabino, a Dante ad Amilcare, quest’ultimo anche discreto poeta, oltre che mio zio per aver sposato la sorella di mia madre, e mio, piuttosto cocciuto, maestro di scuola): certo, “socialisti” e allora legati per via del fronte popolare al mito dell’URSS, ma che nulla hanno a che fare con questa poveretta, che definisce nel suo reclamizzato libro l’assassinio di Sacco (e Vanzetti, che neppure nomina!) una “tragedia familiare”…. Devo osservare che ben altro giudizio mi venne fin dalla frequentazione degli altri membri della famiglia Sacco nella mia adolescenza (un mio cugino, anche lui di nome Sabino, è ancora vivente), quando anche nella “famiglia” Sacco, socialista appunto, si parlava, sia pure in modo blando, di lotta di classe, di sfruttati e sfruttatori, e del fatto che la giustizia in senso etico non è quella dei tribunali, e io stesso li accusavo di anarchia, ma non in nome della democrazia, bensì del comunismo che allora cominciava ad affascinarmi. Fernanda Sacco dimentica, e cer-tamente non sa e non si pone neppure il problema, che a inizio secolo, e in Puglia in special modo, i confini tra anarchismo e socialismo, che provenivano entrambi dalla stessa Associazione Internazionale dei Lavoratori, erano ancora sfumati e spesso le battaglie si conducevano insieme, e i comunisti non erano ancora di-stinti dai socialisti. Ho sempre considerato la vicenda di Sacco e Vanzetti come esclusivo patrimonio educa-tivo di generazioni di lavoratori sfruttati da una classe che è sempre la stessa in ogni continente e a prescin-dere da ogni colore politico che essa assuma. Non c’entrano qui le formule politiche (democrazia, fascismo, falso comunismo staliniano, populismo degenerato) né quelle governative e neppure i partiti di ogni colore, perché in loro mani c’è solo il mercimonio, anche di uomini come Sacco e Vanzetti. Se oggi ci fosse un mi-nimo di rettitudine morale nelle istituzioni politiche dello stato, nessuno degli uomini politici, magistrati o ex magistrati comunque titolati che lo gestiscono, o aspirano a farlo in nome e per conto di interessi forti, quando non per esclusiva carriera personale, oserebbe rivendicare a sé anche solo il nome di Sacco (e Vanzetti!), all’infuori degli immigrati dei CIE, dei sans papier francesi (proprio di quella Francia borghese che nel 1789 gridava Liberté, Egalité, Fraternité con la ghigliottina dietro l’angolo ed ora provoca scalpore nell’Europa della libera circolazione della forza lavoro scacciando i rom!) o di quelli presi a fucilate a Rosarno. Ed è a costoro che bisogna indirizzare l’esempio storico di dignità di Nick e Bart. Ma attenzione: se Sarkozy vuole buttar fuori i rom (in barba alle leggi sovranazionali e quindi alla “Giustizia”), Maroni, un altro ministro ita-liano e secessionista (come le cose vadano d’accordo ce lo spieghino tutti i giustizialisti di questo mondo), rincara la dose contro tutti quelli che “delinquono” e il giornale Panorama intitola l’articolo sui Rom “Nati per delinquere”. Vecchia storia, bisogna riconoscerlo! Che nesso c’è, dirà qualcuno (Di Pietro direbbe al solito “che ci azzecca?”) tra Sacco e Vanzetti e i rom e le varie “condanne” con cui vengono condite dai vari governi borghesi le periodiche campagne contro questi o quei lavoratori? Perché, quando tali ministri vo-gliono attaccare, o anche semplicemente spremere di più, i lavoratori, è una regola far precedere le loro ini-ziative da campagne di propaganda volte a metterli in cattiva luce. Ricordo bene quando a noi meridionali immigrati a Torino si diceva che venivamo a “rubare” il lavoro, e oggi la stessa cosa senza tanti complimenti la si dice degli stranieri da qualunque parte vengano e, proprio come noi meridionali venivamo sistemati-camente additati come rapinatori e violenti, così gli albanesi diventano gli accoltellatori degli industrialotti brianzoli, i romeni e i senegalesi stupratori, e si potrebbe
continuare, per l’appunto come Sacco e Vanzetti venivano additati come italiani dalla pistola facile, rapinatori e assassini. Insomma quello di “criminalizzare” i lavoratori è da sempre il cavallo di battaglia di tutti i governi parlamentari: la riforma delle pensioni (legge 335/1995, famigerata come legge Dini) è stata preceduta da una forte campagna di criminalizzazione dell’“avidità dei padri contro i figli”, e i risultati si vedono (a dispetto di false e demagogiche riduzioni di ali-quote alle pensioni da nababbi dei parlamentari): quei figli, per i quali si invocava giustizia pelosa, possono scordarsela, la pensione, e quella dei genitori (lavoratori dipendenti, operai, non certo dirigenti!) sono alla miseria. Né i parlamentari (di tutto l’arco costituzionale, nessuno escluso) hanno esitato a criminalizzare una parte dei lavoratori (i “garantiti”) contro l’altra (i “non garantiti”), non certo per questioni di “giustizia”, ma per introdurre il diritto di licenziare, la flessibilità. I risultati sono davanti agli occhi di tutti (Marchionne a Mel-fi docet). Tralasciando il corollario delle peggiori brutture sociali che questo uso e abuso della cosiddetta giu-stizia comporta (razzismi, pulizie etniche, genocidi, ecc.), le persone serie dovrebbero prendere lezione dalla storia di Sacco e Vanzetti e non volgerla a proprio uso e consumo. E la storia è il regno della verità, mentre l’uso distorto di essa nasce dall’esigenza di menzogna, e in America le classi dominanti hanno appreso da tempo una vera e propria arte della menzogna, specie quella di guerra in cui non hanno rivali, usando tutti i mezzi di comunicazione di cui pure sono maestri (vedi caso dell’11 settembre 2001!). E non basta perorare la nobile causa dell’abolizione della pena di morte perché poi gli stessi stati che non praticano la pena di morte la esercitano sistematicamente, con i poliziotti che sparano contro i tifosi in autostrada o dopo le par-tite di calcio, o contro i lavoratori che scioperano, o massacrando di botte i detenuti, o inviando soldati in “missione di pace” (che linguaggio orwelliano!) i quali fanno il tiro a segno sulle popolazioni indigene (degradate al rango di “terroristi”) o infilano elettrodi nei testicoli dei prigionieri (alla faccia di Cesare Beccaria !). La nostra Italia democratica, che dal secolo scorso alimentò il mito degli “Italiani brava gente”, era poi la stessa che usava l’iprite contro i patrioti eritrei e massacrava i libici, e smentiva ignobilmente e insultava la fama di illuminati scrittori come Cesare Beccaria e il Verri che avevano dimostrato l’inutilità della tortura. Il mondo intero si è già ribellato contro quella condanna “per omicidio e rapina” e tutti sono consapevoli che Sacco e Vanzetti stavano allora combattendo (come le loro idee devono oggi a maggior ragione com-battere) una battaglia contro ogni forma di giustizia di stato, anche quando assuma gli orpelli della democra-zia (quella della libera America poi! l’auto-decantato “impero del bene” contro gli “stati canaglia”, quella che suole abbellire le sue pratiche imperialiste con la veste di giustiziera e si diverte a rivoltare i regimi politici come calzini in qualunque latitudine!).
Mussolini, che ne sapeva di anarchici e socialisti, lo aveva capito bene e solo per questo chiese ai giudici americani di non farne dei martiri.
Pertanto, paradossalmente, Sacco e Vanzetti furono condannati proprio da quella “Giustizia” che ora, per la seconda volta, Fernanda Sacco, nella sua stizzita risposta alla giusta messa a punto dell’editore Galzerano, invoca per suo zio, e lo fa in compagnia di un campione del giustizialismo di stato, Antonio di Pietro, non tanto per la sua persona, su cui qui davvero né interessa né merita discettare, ma a cui peraltro qualche torremaggiorese ha chiesto stupito: “Ma tu che ci azzecchi con Nicola Sacco?”. E sì, perché anche un ingenuo cittadino che abbia appena vissuto qualche campagna elettorale, capisce che per questi signori di Stato a caccia di voti come un tempo i cafoni affamati facevano di notte con le “taragnole”, non importa da che parte vengano, purché vengano. Fernanda Sacco invoca il “diritto” di parentela ad essere l’unica erede legittimata ad assolvere e condannare … lo “zio”, e non si avvede neppure che, anche in ciò, tradisce e offende le idee di un uomo che metteva in discussione, in quanto anarchico, i tre pilastri della società autoritaria: Dio, Patria e Famiglia. Questa è la tremenda colpa che Sacco e Vanzetti, con elevata dignità morale, non han-no mai rinnegato e Fernanda Sacco, in un misto di ingenuità e di inganno, vuole ancora far credere che i giudici e governatori del Massacchussets li avessero condannati come rapinatori e assassini, quando sono già trent’anni che la “giustizia” americana ha ammesso che non era questa la colpa del due anarchici italia-ni, riabilitandoli, proprio come dopo secoli, la Chiesa riabilita Galilei e Giordano Bruno. Sappiamo quanto ipocrita sia questa morale che assolve e lava il giorno prima per continuare a peccare e a sporcarsi il giorno dopo. Ed è questo che Fernanda né dice né è in grado di dire, ma che i due condannati reclamano dalle lo-ro ceneri. Ad accreditare e fiancheggiare oggettivamente la versione giustizialista e il conflitto di interessi tra un’Associazione che almeno di nome si richiami al lascito politico, culturale e morale dei due emigranti a-narchici assassinati dal governo del Massacchussets, e chi per ragioni politico-elettorali se ne fa mostruosamente l’alfiere, rimane perciò il terzo pilastro del sistema osteggiato dall’anarchismo, la Famiglia, con la cini-ca strumentalizzazione di una nipote di statura morale piuttosto rachitica al cospetto del grande ZIO, ma che nessuno degli altri membri socialisti della
stessa famiglia, sfortunatamente passati a miglior vita, si sognereb-bero così maldestramente di assecondare. L’anello di connessione tra queste componenti, quella cinica dei politici opportunisti e scafati e quella apparentemente ingenua della nipote del parente “famoso”, è in fondo la stessa: Nicola Sacco è, per entrambe le componenti, una merce mediatica, un nome vuoto di contenuto ma stracolmo di “notorietà”, buona per catturare attenzione e consenso elettorale, un elemento di “réclame” pubblicitaria, allo stesso modo in cui si vendono le acque minerali con i calciatori di grido in tv o con le miss Italia, perché hanno i loro tifosi o fans, per i quali costituiscono una indiscussa autorità. E’ come se dicesse-ro: questa è la NOSTRA acqua, comprala. Tutto il mondo conosce Nicola Sacco, ecco, vedete, Io sono sua Nipote, ora conoscete e ammirate anche Me. E poiché tutti conoscete il picconatore di Mani Pulite Di Pietro, quello che ha mandato in galera qualche parlamentare corrotto, ma non il sistema di corruzione che anzi va alla grande, ora conoscete anche Me. Tutto qui. E Di Pietro sorride e va in processione verso il cimitero dietro ai ceri come ad un funerale, … al canto di Joan Baez.
Ora, l’associazionismo è una cosa seria e stupisce che a Torremaggiore nasca un’Associazione così viziata nella distorsione storica e persino nell’eterogenesi delle figure a cui è dedicata. Perché piuttosto non nasce un centro studi o una Fondazione Sacco e Vanzetti, che raccolga documenti in Italia e in America, favorisca, con borse di studio, biografie attendibili di queste due figure del movimento operaio internazionale?. Finora nulla è stato fatto almeno per tradurre e pubblicare, non dico in torremaggiorese, ma in italiano, gli scritti, ossia le lettere (e sono tante!) dei due compagni, che in America sono pubbliche in lingua inglese già dall’anno dopo la morte. Ma Fernanda, che peraltro considera l’Associazione come “sua” proprietà, le ha mai lette quelle lettere in inglese, anche solo quelle di suo zio “Ferdinando”?
Per Associazione Culturale PonSinMor
Dante Lepore, Torremaggiorese emigrato non in America ma a Torino, ancora vivente.

La risposta di Giuseppe Galzerano

A Fernanda Sacco
e, per conoscenza, a Matteo Marolla
Cara Signora Sacco,
voglia scusarmi per il ritardo della mia risposta, ma ho letto le vostre email solo l’altro giorno, in quanto il mio computer è stato guasto per una diecina di giorni (nel frattempo ho ricevuto anche la Sua lettera raccomandata). Naturalmente sulla questione che ho sollevato con la mia nota, ripresa dalla stampa anarchica e dalla stampa pugliese, ho trovato anche altre email. In verità sorprende l’aggressiva reazione di Fernanda Sacco, che nella nota non avevo tirato in ballo perchè ho rispetto per i familiari delle vittime. Davvero sono profondamente amareggiato dal fatto di dover dialogare con chi ammette, senza alcun pudore, di aver «condannato» sempre le idee politiche dello zio. Perchè se Lei condanna le idee che hanno riempito la vita di suo zio e lo hanno fatto entrare nella storia dell’ingiustizia e dell’umanità, significa che nei suoi confronti non ha nessun rispetto e dunque conferma che l’iniziativa dell’Associazione è unicamente una speculazione politica ed umana, perchè non nasce dal sentimento dell’ammirazione nei confronti di un GRANDE UOMO condannato ingiustamente alla pena di morte. Basterebbe solo questa Sua dichiarazione per troncare ogni dialogo, ma tuttavia Le devo far notare che anche il linguaggio è psicologicamente indicativo: ad esempio, invece di usare il verbo «condannare» poteva ricorrere al verbo «condividere» e il tono della Sua lettera sarebbe stato diverso. Lei – senza averne diritto – si erge a giudice, a unico possessore della verità politica, per condannare ancora una volta le idee di Suo zio e dei suoi compagni anarchici, dimenticando che Ferdinando Sacco (detto Nicola) e Bartolomeo Vanzetti furono condannati solo ed unicamente per le loro idee politiche, che erano anarchiche (dico fortunatamente anarchiche e non dipietriste, ammesso che il dipietrismo possa essere considerato una corrente di pensiero politico). Mi spiace scoprire che la nipote di Sacco la pensi – ottantatrè anni dopo – allo stesso modo dei giudici americani del 1927 e ripeta ancora oggi che Lei «condanna» le loro idee. C’è tanta arroganza in questo Sua frase… Tenga poi conto che i comportamenti degli uomini e delle donne sono sempre il frutto delle loro idee. Sono state le idee anarchiche ad insegnare a Suo zio a comportarsi con quella dignità e quella coerenza che lo fa ancora oggi ammirare in tutto il mondo. Le devo, poi, far notare che storicamente e politicamente i socialisti sono stati sempre vicini agli anarchici, e spesso hanno fatto battaglie in comune con gli anarchici, per non dire della stima e della simpatia che tutti i socialisti hanno sempre avuto per gli anarchici. Oltre ad essere offensiva e aggressiva, trovo la Sua lettera anche menzognera,
laddove scrive che un’anarchica voleva imporre la sua nomina a presidente dell’Associazione: davvero strano queste anarchiche che non accettano imposizioni e non cercano cariche, ma che invece si impongono prepotentemente… Frequento il movimento (non il Partito, che non esiste) anarchico da quando avevo quindici anni e non ho mai incontrato anarchiche, ma – mi creda – neanche anarchici, che – come Lei scrive – si impongono con prepotenza. Lei ha un visione distorta del pensiero anarchico e della pratica anarchica e di conseguenza anche delle idee di Suo zio. Dalle email che ho avuto si dà il caso che sono venuto a conoscenza del nome di questa terribile, ma inesistente anarchica che è alla ricerca del potere e mi è stato anche detto che la questione è molto diversa da come Lei la riferisce, perchè la nostra compagna, che è persona per bene, era stata proposta dall’assemblea dei soci dell’Associazione come vicepresidente, incarico che non aveva richiesto e non ha accettato. Perchè la calunnia senza fondamento? Poi è in contraddizione: prima scrive che si tratta di «gentile signora» e poi afferma che è «prepotente»: Lei sarà d’accordo con me che chi è prepotente non è gentile e chi è gentile non è prepotente. Delle due, l’una. Nella mia nota discutevo la questione dell’uso politico del nome di Sacco e Vanzetti e della strumentalizzazione partitica di un’Associazione tant’è che buona parte dei soci fondatori si sono poi allontanati dall’Associazione. Inoltre l’ing. Matteo Marolla, come Lei sa, è anche presidente di una sezione politica, (naturalmente è libero di esserlo, ci mancherebbe altro, così come io sono libero di non approvare e di esprimere il mio dissenso, non perchè – badi bene – voglio la sua carica, ma per una questione che si chiama coerenza): la questione configura un conflitto di interessi, perchè a mio modo di vedere non si può stare con un piede in due scarpe, nel senso che non è persona libera dai condizionamenti partitici. Inoltre l’ing. Matteo Marolla è stato sindaco e non risulta che nella sua qualità di sindaco abbia mai promosso iniziative per Sacco e Vanzetti (se così non è, mi creda, sarò lieto di essere smentito). Naturalmente, dalle altre email sono venuto anche a conoscenza di operazioni oscure e sembra anche che l’associazione sia stata inaugurata per la seconda volta, per consentire passerelle politiche. Poi, poco gentile Signora, sappia che nella mia vita non ho mai scagliato «bombette», ma ho sempre discusso con passione e sentimento, e se mi consente anche con una certa preparazione culturale, ed ho avuto sempre rispetto per le idee e le posizioni degli altri, pensando che il confronto è possibile ed auspicabile, mentre Lei invece sentenzia che è impossibile avere un confronto con me e con gli anarchici. Allora, perchè mi scrive? Io, nonostante tutto, La saluto cordialmente e, come nipote di Sacco, anche rispettosamente, nonostante che Lei ne condanni, senza conoscerle, le grandi idee di umanità, di dignità e di uguaglianza sociale.
Giuseppe Galzerano

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