A proposito di scioperi & generali
Ovvero: Contro il 4 novembre dei generali
Lo Stato si dà una Carta Costituzionale per offrire un programma di lotta ai sovversivi
(Trattato sul nichilismo in 79 aforismi)
L’intervento “Scioperi & Generali”, pubblicato su «Sicilia libertaria» (n. 365, ottobre 2016), merita senz’altro qualche considerazione, in quanto pur evidenziando noti problemi e indubbie contraddizioni in seno al cosiddetto sindacalismo alternativo, rischia di scivolare nella conosciuta «notte in cui tutte le vacche sono nere», in cui tutte le esperienze di organizzazione sindacale sono messe sullo stesso piano, quasi fossero “unitariamente divise”, così come i rispettivi percorsi, senza voler riconoscere che le innegabili inadeguatezze in ambito sindacale sono anche un riflesso di quelle della sinistra politica, in tutte le sue declinazioni.
Innanzi tutto va tenuto presente che, se il termine “sciopero generale” può apparire pretenzioso, il suo significato etimologico attiene al fatto che viene proclamato e attuato contemporaneamente da tutte le categorie, del privato e del pubblico, aldilà della sua riuscita ed effettiva estensione.
Detto questo, va rilevato il carattere assolutamente improprio della piattaforma dello sciopero del 21 ottobre indetto da svariate sigle (USB, Unicobas, SiCobas, Usi-Lazio, Clash City Workers…), tutto interno ad una logica politica-istituzionale e telecomandato da strutture politiche dell’antagonismo quali la Rete dei Comunisti e Autonomia-Contropotere.
Che senso ha infatti promuovere uno sciopero per “l’applicazione dei principi e dei diritti della costituzione del 1948“, sorvolando sul fatto storico che la Costituzione della mitica “Repubblica fondata sul lavoro” fu la risultante del compromesso tra Democrazia Cristiana e PCI togliattiano, con la benedizione degli Stati Uniti e del Vaticano?!
E’ o non è la stessa Costituzione che ambiguamente “ripudia la guerra” ma, da oltre trent’anni, consente interventi militari come quelli in Afghanistan Irak, Libano, Balcani e Libia?
Davvero si può pensare che il conflitto capitale-lavoro dipenda dai diritti sanciti dalla (e sulla) Carta, oggi oggetto di revisione da settori diversi della stessa borghesia che la produsse?
Non meno fuorviante, appare riferirsi ad una fantomatica “sovranità popolare democratica del popolo italiano, oggi sottoposta ad un vergognoso attacco da parte dei governi degli Usa e della Germania e dalla burocrazia della UE“.
Se proprio vogliamo indicare un nemico, piuttosto che dei governi-marionette (con i loro rispettivi copioni: arlecchini, pantaloni e pulcinella), non sarebbe il caso di ricordarsi del FMI?
Inchiodare quel poco che si muove a livello sociale e di classe dentro un simile spettacolo/scontro tra le assortite fazioni del No e del Sì appare davvero la peggiore negazione di un percorso autonomo dei soggetti sociali, dell’autorganizzazione e delle possibili insorgenze.
Discorso del tutto diverso e contrapposto lo sciopero in una data simbolo come quella del 4 novembre – la tristemente nota e propagandata Festa delle forze armate – indetto dalla CUB e dall’USI-AIT (organizzazione storica peraltro non assimilabile al “sindacalismo di base”), che certo non intende entrare nel dibattito referendario, ma mette al primo punto della mobilitazione una ben più radicale opposizione “Contro la guerra, che sta coinvolgendo l’Europa il Medio Oriente e paesi dell’Africa, contro le fabbriche di morte le spese militari e la guerra interna contro i ceti popolari”.
Uno sciopero senz’altro che sconta molti limiti e difficoltà, a partire da un clima complessivo a bassa conflittualità, e che deve fare i conti con la legislazione anti-sciopero che ormai, soprattutto nel settore dei trasporti, limita il diritto di sciopero a rare finestre consentite.
E’ fuor di dubbio che le lotte devono ovunque vedere un protagonismo dei soggetti reali, collettivi ma anche a partire dalla coscienza individuale di classe, e liberarsi della tendenza alla burocratizzazione delle proprie strutture, ma appare difficile immaginare che questo possa avvenire a tavolino, senza un rafforzamento della pratica autogestionaria e dell’azione diretta, fuori da ogni concertazione e mediazione politica.
Così, non solo nacque l’Associazione internazionale dei lavoratori, ma si svilupparono il sindacalismo rivoluzionario, quale espressione del socialismo non riformista, e dell’anarcosindacalismo: tentativi ancora attuali di sintesi radicale tra sindacale e politico, per l’autoemancipazione proletaria e la rivoluzione sociale.