PRIMO MAGGIO DI LOTTA CONTRO LA GUERRA – CONTRO GLI ESERCITI CONTRO GLI STATI – CONTRO I PADRONI
La guerra che si combatte in Libia è la stessa che si combatte nel Mediterraneo contro profughi e migranti e, nel nostro paese, contro i lavoratori, i precari, i disoccupati e tutti gli sfruttati. Sono due facce della stessa medaglia: la guerra esterna e la guerra interna. La prima anche per far dimenticare la seconda, quella quotidiana.
L’Italia è in guerra. È in guerra in Libia, in Afganistan, nelle nostre città e nella nostra società. E’ una guerra feroce, con morti, feriti, deportati, prigionieri, campi di concentramento. Dalle basi nel nostro paese partono i cacciabombardieri diretti in Libia dove i governi di Francia, Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti si contendono il controllo delle risorse petrolifere del paese e non solo, basti pensare ai 200 milioni di dollari libici giacenti nelle banche centrali europee ed americana, opportunamente congelati. Da Lampedusa partono navi ed aerei verso i campi di concentramento allestiti in aree militari abbandonate da decenni.
A fronte di ciò, nel teatrino della politica italiana, Berlusconi, è passato dai salamelecchi a Gheddafi ai bombardamenti sulla Libia. Ciò che più colpisce nella situazione attuale è il fatto che una vicenda tragica sia ricondotta all’indecente chiacchiericcio di un ceto politico che riesce ogni volta a superarsi nella capacità di fare affermazioni autocontraddittorie. Il buon Napolitano, osannato dalle sinistre come garante della Costituzione, giustifica l’impegno militare contro la Libia come “naturale sviluppo” delle scelte compiute a marzo dal Governo e contraddice il dettato costituzionale, che – per quanto poco possa valere – è inequivocabile rispetto al ripudio della guerra.
L’opinione pubblica (compresi molti lavoratori, vittime della guerra interna), ormai assuefatta a questo genere di imprese, sembra incapace di reagire. Grandi capitali vengono investiti in armamenti e risorse altrettanto cospicue sono sottratte a scuola, sanità, servizi, ambiente e sostegno al reddito, in un clima patriottardo che appesta il paese, mentre un governo attento ad ottenere il consenso sollecitando i sentimenti più bassi della popolazione, spinge sul tasto di una “emergenza profughi” che non esiste e cavalca pulsioni razziste e xenofobe.
Riteniamo che il Primo maggio sia l’occasione per rilanciare la mobilitazione contro la quinta guerra “umanitaria”, e che si debbe continuare a lottare affinché i lavoratori immigrati non siano discriminati e vedano riconosciuti i propri diritti, che sono gli stessi, sempre più spesso attaccati, dei lavoratori italiani. Oggi, come sempre, la guerra è questione di chi detiene il potere: ad essa contrapponiamo l’unità internazionale dei lavoratori e la solidarietà fra gli sfruttati.
Segreteria nazionale USI