Vita da free lance

Intervista ad Alex Foti.


Vita da free-lance”. Com’è in Italia la vita da free-lance, ammesso se ne possa parlare in una sola nazione?

Una vita di povertà passata a inseguire gente che ti deve compensi e tasse da pagare come partita iva, anche se qualcosa sta iniziando a cambiare per quelle monocommittente aprendo la strada a forme di autorappresentanza, e anche autotutela come per esempio la non-profit Smart che in Belgio rileva le fatture e fornisce assistenza contrattuale e previdenziale. Non penso però che i free-lance siano l’idealtipo precario, che penso sia piuttosto rappresentato dalle persone che lavorano a tempo determinato e/o part-time.

 

Essere di sinistra oggi” al tempo dei 5 stelle, delle continue riaggregazioni dei partiti post-comunisti,che ad ogni giro si allontanano dalle loro origini ed efficacia; della Lega Nord che sfonda tra chi lavora e del nazionalsocialismo rinascente? Hai usato la cromatologia per sviluppare un ragionamento ….

In Anarchy in the EU, il libro precedente, profetizzavo il declino del rosso comunista e socialista a vantaggio del nero anarchico, del pink femminista e del verde ecologista. In Essere di sinistra oggi cercavo di infondere un po’ di spirito rivoluzionario del 2011 nella scialba sinistra nostrana alla vigilia delle elezioni 2013 (Bersani-Vendola, ora nello stesso partito). Ad ogni modo la ripresa del socialismo nel vecchio centro neoliberista con Bernie Sanders e Jeremy Corbyn va contro la mia tesi, mentre il crollo dei partiti socialdemocratici e socialisti nell’eurozona la conferma. 

 

Le domande sono fatte usando i titoli di libri, tuoi e di Sergio Bologna/Dario Banfi, libri intesi come strumenti pratici, utensili. Cosa diresti per convincerci a leggere le opere di Paolo Gribaudo? (The mask and the flag) Sì. Paolo Gerbaudo (corrige). Si tratta del sociologo che a livello internazionale ha meglio spiegato il ruolo dei social media nel movimento delle piazze accampate (in Tweets and the Streets) e poi ha proposta la migliore teoria socio-politica in circolazione per spiegare il populismo contemporaneo, soprattutto quello di sinistra, in The Mask and the Flag, che è un grande lavoro di sociologia comparata di tutti i movimenti globali del 2011-2016, da Tahrir a Gezi Park, dalla Spagna al Brasile, da Occupy Wall Street a Nuit Debout.

 

Sergio Bologna, non proprio l’ultimo arrivato,mi faceva notare che in USA lo storico sindacato d’azione diretta, gli IWW,è stato rilanciato (cito a memoria) dai free-lance che si riunivano nei caffè di Starbucks per lavorare col wi-fi gratuito. Anche tu ne hai scritto nel tuo General theory of the Precariat (pag.73)… Sinceramente si trattava di dipendenti di Starbucks di New York guidati dall’attivista Daniel Gross. Sono stati i e le baristas precari/e che si sono organizzati nella IWW Starbucks Workers Union nel periodo 2004-2008. Howard Schultz ha impiegato ogni mezzo legale e illegale perché fallissero. A tutt’oggi le catene di ristorazione in America restano luoghi dove il sindacato non può entrare.

 

Hai pubblicato “General theory of the precariat”ad Amsterdam, in inglese. Quali sono i punti da ritenere del tuo saggio?

L’ho pubblicato in inglese per far conoscere la teoria della precarietà secondo il movimento autonomo italiano a una platea più vasta che conosce il concetto attraverso l’opera di Guy Standing, che ha popolarizzato ma anche deformato il concetto. Inoltre volevo dare un’interpretazione cliodinamica della Grande Recessione (su cui lavoro dal 2004) che fosse più fondata storicamente di quella di Paul Mason, che si affida quasi esclusivamente a Kondratiev per prevedere un alquanto incerta fuoriuscita dal capitalismo. I punti principali sono del libro sono: il precariato è la classe sociale storicamente creata dal neoliberismo che dopo la crisi è diventata predominante nella produzione di ricchezza – subentra alla classe operaia come antagonista chiave del capitale (ne consegue che posizioni che continuano ad assumere la centralità della classe operaia sono nostalgiche e/o conservatrici) – è il soggetto storico che ha guidato le rivoluzioni del 2011 e oggi è la forza sociale che, data l’identità multietnica e l’ideologia antirazzista che la contraddistinguono, si trova a fronteggiare direttamente la reazione nazional-populista di Trump, Putin, Erdogan. In sostanza il libro vuole spiegare i tre tornanti fondamentali della storia recente: la Grande Recessione del 2008, la Rivoluzione del 2011, la Reazione del 2016.

 

Quando leggevo il tuo “Essere di sinistra oggi” ho trovato un impianto keynesiano, con un riferimento all’etica anarchica degli hacker. Ti chiedo:

-mentre il capitale è transnazionale,gli stati si aggregano, falliscono più spesso delle banche, si frammentano;c’è una detassazione a livello statale, ma un aumento di tasse locali che pesano sulle persone, come può lo stato ridistribuire ricchezza?Può esistere un keynesimo senza stato? E se fosse il conflitto sindacale che ridistribuisce

Universal Basic Income è redistribuzione keynesiana con un ruolo minimo dello stato e soprattutto abolizione dell’odiato workfare (vedi inasprimento recentemente proposto da Macron per i disocuppati francesi). Non l’ho mai considerato in alternativa al conflitto sindacale e anzi vedo nella battaglia per 15 euro l’ora in tutta Europa una rivendicazione egualitaria unificante che è maggiormente difendibile se c’è il reddito di base universale (che non è né il reddito di povertà renziano o grillino né la negative income tax di berlusconi). Come dice il libro nel platform capitalism l’oligopolio è la forma mercato dominante con annessi extraprofitti. C’è molto da redistribuire togliendo il maltolto a Jeff Bezos o Mark Zuckerberg. L’etica hacker si fonda sulla condivisione aperta dell’accumulazione della conoscenza contro la logica privatizzatrice del capitalismo estrattivo contemporaneo, di natura finanziaria, fossile o digitale che sia.

 

L’etica anarchica mi ricorda le Temporary Autonomous Zone dell’anarchico americano Hakim Bey.Nel libro “TAZ”si cita Alceste De Ambris, fondatore della nostra U.S.I..Ricordo anche la polemica di Murray Bookchin verso il life-style anarchism di H.Bey. Nel tuo “General theory..”(titolo keynesiano come pochi)compare l’anarco-populismo. E’ qualcosa vicino all’anarcosindacalismo? Il termine anarco-populismo è stato coniato da Gerbaudo per spiegare l’ideologia del 2011. L’anarcosindacalismo è un’ideologia rivoluzionaria che si propone di abbattere il capitalismo sconfiggendolo nell’arena economica, piuttosto che affidarsi all’arena politica per regolarlo. Nel populismo storico (per esempio argentino) il nesso fra movimento politico e movimento sindacale è sempre stato strettissimo, un po’ sul modello del rapporto fra COSATU e ANC che ha recentemente portato alla detronizzazione di Zuma. Tuttavia i sindacati populisti sono stati raramente anarcosindacalisti, anche se penso che il platformism anarchico abbia avuto un peso nell’elaborazione populista in America Latina (non è una cosa di cui sono esperto). Il termine ha più a che vedere con la fusione delle pratiche hacker di anonymous con progetti di riappropriazione popolare della sovranità democratica. Penso che l’anarcosindacalismo come spiego nel libro sia una delle quattro principali componenti dei movimenti anticapitalisti odierni insieme all’anarca-femminismo e all’anarco-ecologismo, e soprattutto al movimento antifa d’impronta anarco-autonoma che è sempre più popolare fra i giovani ed è di vitale importanza per sconfiggere sul campo i nazi-populisti che dal North Carolina all’Austria imperversano grazie alla crisi terminale del neoliberismo. Ad ogni modo sono più anarchico alla maniera di Hakim Bey che a quella di Bookchin, fermo restando il suo contributo all’ecologismo e al municipalismo radicali con la teoria del bioregionalismo.


Per guardare la video intervista realizzata nel 2016 clicca qui.

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