Nuclei Libertari di Fabbrica, Unione Sindacale Italiana. 1912-1970

Scaricabile l’opuscolo Nuclei Libertari di Fabbrica, Unione Sindacale Italiana. 1912-1970 pubblicato a Milano nel 1970.

Nuclei Libertari Di Fabbrica – Unione Sindacale Italiana. 1912-1970

PREFAZIONE
Da alcuni anni all’interno del movimento libertario continua a svilupparsi una serrata discussione sul sindacalismo che sta ad indicare una sempre più ri­trovata identità degli anarchici nel movimento degli sfruttati: in loro, tra loro, con loro le idee libertarie so­no nate ed al di fuori della loro realtà l ’anarchismo muore o si riduce (per dirla come gli anarcosindacalisti dell’USI) ad una mera filosofia, patrimonio di qualche élite intellettuale.
Questa ricerca sull’Unione Sindacale Italiana si inserisce proprio in questo dibattito, per dare elemen­ti di conoscenza a tutti quei compagni e soprattutto a quelli che si sono avvicinati in questi ultimi tempi alle idee libertarie, i quali debbono conoscere il patri­monio storico e teorico dell’anarcosindacalismo e del sindacalismo rivoluzionario. Solitamente si ricor­dano dell’USI solo pochi aspetti che saltuariamente appaiono nella stampa anarchica o in quella specializ­zata: che è stata un grosso movimento di massa con mezzo milione di aderenti, che ha avuto una pratica libertaria, che l’anarchico Armando Borghi ne è stato segretario, che al suo interno non vi erano burocrati stipendiati e che infine si è esaurita come movimento non avendo avuto (dopo un ventennio trascorso tra confino ed esilio) la forza di rinascere nel 1945. In questo opuscolo non si parla dei grossi momenti che ormai sono passati alla storia (e in cui l ’USI ha agi­ to o ne è stata promotrice) come l ’occupazione delle fabbriche e il biennio rosso (1919-1920), la “settimana rossa” e la conquista delle 6 ore nel corranno (tutti momenti che appartengono al movimento anarchico e anarcosindacalista); non se ne parla perchè sono no­tizie che spesso appaiono sulla stampa libertaria e bene o male ognuno conosce. Si parla invece della “storia” dell’USI a partire dal suo primo consolidar­si come minoranza organizzata all’interno della Con­federazione Generale del Lavoro (CGL), delle diffe­renti vedute sull’autonomia che la futura USI avrebbe avuto rispetto alla Confederazione, della rottura tra i sindacalisti rivoluzionari e l’organizzazione riformista nel 1919. Si toccano quindi tutti i momenti salienti della sua vita, le sue lotte, i suoi convegni visti come punti d’arrivo di quel che s’era fatto e come punti di partenza di nuova forza, di nuove idee, di nuove pratiche sperimentate quotidianamente nelle singole realtà. Si parla delle differenti vedute all’interno della stessa USI, delle posizioni deviazioniste di alcuni suoi leader, di De Vittorio (che finirà poi a fare il segreta­rio della CGIL dal 1943 in poi), dell’unità sindacale, dell’antimilitarismo, dell’unità alla base, dei progetti non portati a compimento a causa della repressione fascista (solo nel 1922 sono circa 300 i compagni assassinati dalle squadre nerocamiciate), dell’Associa­zione Internazionale dei Lavoratori (A1T) e del dibatti­to se aderire o meno all’internazionale sindacale rossa (legata a Mosca).
Con il 1922 si conclude la prima fase dell’esistenza dell’USI, di un movimento realmente di massa, liber­tario, autogestionario; poi verrà il periodo di buio dell’esilio, della clandestinità, del confino. Due parole ancora: il materiale della prima parte di questa ricerca è stato tratto dalla chiarissima “Breve storia dell’USI” di Ugo Fedeli; la difficoltà a repe­rire questo scritto (nel 1957 è stato pubblicato a pun­tate sulla rivista ‘”Volontà”; nel 1973 è stato ciclosti­lato a Milano da Lotta Anarchica; nel 1976 ancora ci­clostilato a Torino dal compagno Assandri) ha fatto ritenere giustificato il suo inserimento in questo opu­scolo, insieme ad altro materiale di epoca posteriore; in questo modo si ha sotto mano quasi tutta l’espe­rienza USI dal 1912 al 1970. Se la prima parte non ha comportato notevoli difficoltà di ricerca, la stes­sa cosa non si può dire per la seconda parte (1945-1970) per il semplice motivo che tutta la storiogra­fia anarchica ed anarcosindacalista si ferma imman­cabilmente al 1922 e non esiste un solo documen­to (eccezion fatta per il libro di Borghi “Un bien­nio di attività anarchica” che descrive minuziosamente la realtà anarchica italiana nel 1945-1947 e per alcuni articoli del compagni Umberto Marzocchi, già appar­tenente al Comitato Direttivo della CGIL nel dopo­guerra, particolarmente significativi per comprendere i motivi della scelta unitaria degli anarchici nel 1945) che abbozzi un’analisi o semplicemente riporti un dibattito avvenuto dal 1945 in poi (ma anche nel perio­do della clandestinità). A nostro avviso è una lacuna se non altro per dare materiale di dibattito (e quindi di chiarezza) a tutti i compagni che sono quotidiana­mente impegnati nella prospettiva della rivoluzione so­ciale. Certamente l’esprienza USI dal dopoguerra in poi non è la stessa che si è avuta fino al ’22. Nessuno può negarlo. Cosi come non si può negare il carattere del dibattito che si è avuto negli anni ’50 ’60 e che è lo stesso dibattito che i nostri compagni avevano af­frontato all’inizio del secolo nell’ambito della costru­zione dell’organizzazione sindacale: anarchismo, sinda­calismo o anarcosindacalismo? Deviazionismo a causa della presenza di militanti operai non anarchici? Mo­vimento prettamente anarcosindacalista o comprenden­te settori marxisti rivoluzionari? Anarcosindacalismo o sindacato degli anarchici? Una volta di più il movimento si deve compietamente chiarire in merito a queste problematiche, abbandonando prevenzioni, qualche settarismo, “pu­rismi” fini a sè stessi, per andare avanti con una sempre maggiore incidenza.
Occorre capire che oggi realmente si presentano delle possibilità concrete per una prati­ca anarcosindacalista nelle masse sfruttate; tutta una serie di sintomi lo dimostrano: le lotte degli ospeda­lieri, dei ferrovieri, i comitati che si organizzano al­la base, i collettivi che abbandonano la strada battuta dal sindacalismo di stato, i giovani, i disoccupati, i “non garantiti”, il movimento delle donne… Tutti sintomi che vanno verso la costruzione di un vasto fronte di opposizione politica, economica e sociale alle forze dello stato e della conservazione che devono as­solutamente scrollarsi di dosso tutte le illusioni parla­mentari, centraliste, avanguardiste se si vuole realmente uscire vincenti da questa fase di scontro di classe. In questo il metodo e la teoria anarcosindacalista possono offrire un fondamentale contributo per l’a­vanzamento del fronte di lotta. Ai militanti anarcosin-dacalisti un motivo di più per impegnarsi maggiormen­te nella costruzione di un movimento libertario di mas­sa che abbia nelle fabbriche, nelle aziende, negli uffi­ci, nei quartieri e nelle scuole i suoi punti di aggrega­zione e di organizzazione.

NUCLEI LIBERTARI DI FABBRICA E DI AZIENDA

MILANO

 

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