IL MINISTRO IN CONFLITTO DI CLASSE

Il ministro Tremonti, di fronte ad una entusiasta platea clerico-manageriale, annunciando la fine del conflitto sociale, ha auspicato la partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa. Una vacua ricetta declamata per incipriare l’atteggiamento governativo nei confronti dell’attuale crisi economica. Si tratta di un richiamo ideologico ai proclami del corporativismo, dottrina economica fascista, escogitata per mitigare le asprezze di un arrogante capitalismo, introiettato da subito, ma sempre mal digerito dalle afflitte menti fasciste. Il proposito estivo di mettere in discussione la rigida logica del profitto da parte di figure istituzionali (da rilevare anche un compiaciuto eco in sindacati ben amalgamati al governo) svela, con una enfasi paternalistica, l’impressione di irreversibilità della crisi del sistema liberista di mercato e smaschera l’inerzia della politica democratica, condotta fino all’epoca attuale, sulla scia delle evoluzioni strutturali e giuridiche, imposte dalla ideologia liberista. Fanno finta, però, di non sapere che, uno: il capitalismo, nato per macinare vite umane, ricchezze e detriti, non accetta la ridefinizione di ruoli e profitti, né tantomeno si riassesta con toni paternalistici; due: l’emancipazione del lavoratore non avviene per mano legislativa. Sono state già annunciate dal ministro competente proposte di legge che contemplano la ripartizione degli utili nelle imprese, in realtà uno strumento di mercificazione delle capacità individuali lavorative, teso ad esaltare la demagogia del merito, referenziato da politiche elitarie, pregiudiziali e razziali, un organico supporto ideologico ad ogni totalitarismo. Non è estranea, a questa impostazione, una tinta marxista nel richiamo al ruolo avanguardistico di élite operaie, protagoniste di scelte riformistiche. Un obbrobrioso miscuglio di coercizione ideologica. Fanno finta di non sapere che in Italia sussistono ancora realtà feudali nel tessuto economico che zavorrano pesantemente la dinamica sociale. Eclatante quanto emblematico il caso delle farmacie private, importante anello della rete sanitaria territoriale, il cui assetto giuridico tutela, in barba ad ogni principio liberale, l’ereditarietà della concessione statale pur di non venir meno alla devozione dei principi di rispetto della proprietà familiare, perseguita a vantaggio della cristallizzazione sociale, proprio come auspica e desidera la madre chiesa cattolica, la cui malefica lunga mano, per questo stato di fatto, non è estranea. C’è da chiedersi perché una florida impresa, quale può essere una farmacia ben piazzata,dovrebbe attuare un programma di ridistribuzione dei profitti tra i dipendenti, quando questi sono già ben confezionati in coatte gabbie salariali. Un assurdo. Una chiara fandonia estiva. Un raggiro.
La metodologia dei gruppi di potere nell’assecondare i processi di assestamento dei rapporti capitale-lavoro è mediatica, linguistica, catalizzatrice: si semplifica tutto con etichettature, slogans, comparse televisive, proclami riduttivi, istrionismo, pacche sulle spalle. La realtà è semplificata, pertanto deformata. La militarizzazione del territorio rientra in questa logica. La diversità non è tollerata, pertanto è negata ed avversata ogni complessità sia sociale che culturale. L’uomo è ridotto a semplice appendice di un sistema cementificato dall’omogeneità strutturale e mentale.

C.mmare di Stabia 31/08/2009
Amato Rizzo

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