gli Usi Civici da tutelare e valorizzare pratiche antiche di autogestione e mutualismo rurale

Dei vari profeti della nonviolenza, e più in generale della “pace quotidiana”, quello che mi fa sorridere è sempre stato il constatare la loro inconsapevolezza che, volendolo o no, un conflitto ci si trova costretti a viverlo, poi sta ad ogni singolo individuo decidere se viverlo da semplice vittima, a volte “agnello sacrificale” a volte “carne da cannone”, o da ribelle che con l’insofferenza o l’aperto scontro si oppone.
Il conflitto è diretta conseguenza del fatto che in presenza di un bene qualunque (in questo caso il bene sociale) di una società di individui, quando una piccolissima minoranza ne pretende per se stessi una quantità spropositatamente grande il conflitto diventa inevitabile.
Il problema nostro sta nel fatto che, mentre da parte dei “privilegiati” la ricerca della continuità e la difesa del loro privilegio li ha spinti a un’attenzione costante, sul nostro versante la sporadicità, spesso obbligata, ha caratterizzato la nostra storia; questa discontinuità è causa ed effetto del conflitto stesso.

Il possesso e il controllo della ricchezza sociale è stata sempre prerogativa di chi ha dominato, e questo chiaramente facilita il compito, pensiamo a tutti i classici strumenti da sempre utilizzati dalle religioni alle forze armate e di repressione, dalla gestione dell’ educazione a quello dell’ informazione, tutto ha sempre avuto come finalità la creazione di una “cultura della rassegnazione”. Quello che c’è di nuovo è che, dal secondo dopoguerra ad oggi, l’ imposizione di una società consumista e contemporaneamente la centralità di profitto esageratamente “amorale”, ha generato una progressiva scomparsa di legami sociali e uno spaventoso indebolimento psicologico e fisico dell’individuo; molto semplicemente, proviamo a vedere che differenza di reazione c’è stata negli anni 1919-22 ed oggi, ad una condizione che è in linea di massima pressoché uguale.
Nello scorrere del tempo anche gli elementi che generano profitto mutano costantemente, una volta si diceva che “quando la merda acquisterà valore i poveri nasceranno senza culo” e guardiamo come le mafie e lo stato riescono a gestire la questione dei rifiuti! Uno degli “agenti” di Matrix diceva a Morfeo dopo averlo catturato, che gli uomini si comportano come i virus, si insediano in un determinato territorio e dopo averlo completamente prosciugato si spostano e ricominciano da un’altra parte, lasciandosi alle spalle il deserto; così, dal mio punto di vista, si comporta il capitalismo che dopo aver sfruttato e depredato il mare e la pianura, ora sposta la sua attenzione verso la montagna.

A Campanara qualcuno tempo fa mi diceva “ma qui siamo così isolati e difficilmente raggiungibili,  chi vuoi che ci venga a rompere i coglioni?!”, oggi sappiamo che  800.000 euro finanziano il progetto e quindi quel soggetto che dovesse aggiudicarsi la concessione di quei 160
ettari di montagna che compongono parte di quel territorio ma sappiamo anche che nel 2004 è bastato ventilare la possibilità di un trascorso Uso Civico, gravante su quella zona, per far sì che parte degli edifici e terreni venissero provvisoriamente sottratti alla prevista  vendita.

Cosa sono gli Usi Civici

Per Usi Civici si intendono quei diritti, di carattere agro-silvo-pastorale, che sono inalienabili e imprescrittibili, gravanti su notevoli estensioni di terre (oltre cinque milioni di ettari) che si sono venuti a consolidare nel corso dei secoli a favore dei poveri e delle plebi contadine esclusi da ogni altro diritto ma queste traevano le risorse necessarie alla sopravvivenza propria e delle loro famiglie e attraverso regole e statuti di prelievo e di coltivazione, garantivano la riproducibilità e la tutela delle risorse naturali.
Sono regole che sanciscono una consuetudine,  traggono origine ancora in epoca medioevale e  si rifanno al vecchio codice di giurisprudenza romana.

Non è però del tutto esatto parlare al passato perchè in alcuni luoghi la pratica ha avuto continuità nel corso dei secoli, come per esempio a Casa Mazzagno (Belluno), dove sussiste la Casa della Regola situata a fianco dell’edificio comunale ma ben distinto da questo, dove periodicamente si riuniscono i capi famiglia per decidere del taglio del legname, della spartizione dei pascoli stagionali, e il falcio dell’erba da fieno. Ci sono notizie di pratiche simili in altre zone d’Italia come nelle Marche e in Puglia.
Con il trascorrere dei secoli queste terre hanno subito un doppio processo di trasformazione, spopolamento e abbandono da parte delle popolazioni contadine in via di proletarizzazione oltre una progressiva privatizzazione e recinzione arbitraria che ne escludeva forzosamente l’uso ai legittimi usufruttuari.
Queste dinamiche continuano tutt’oggi con diverse modalità e le alienazioni e usurpazioni di queste terre si sono moltiplicate anche per discutibili iniziative degli enti locali che spesso hanno favorito   trasformazioni urbanistiche ad uso edificatorio e privatistico, senza tener alcun conto dei diritti delle
popolazioni locali, a questo va aggiunto lo spopolamento dei piccoli centri rurali per effetto dei processi di inurbamento con il conseguente abbandono delle terre civiche, divenute così facile preda della speculazione privata nonostante siano soggette a tutela paesaggistica e in presenza degli antichi diritti proprietari.
Bisogna  aggiungere che nel primo trentennio dello scorso secolo, tutta questa materia è stata oggetto di attenzione da parte dello Stato, che con vari decreti e leggi, ha cercato di regolamentare le consuetudini degli Usi Civici: la legge 1766 del 16 Giugno 1927, la legge 332 del 26 Febbraio 1928 e la 1078 del 10 Luglio 1930, per quanto riguarda eventuali controversie tra civis ( singolo abitante o gruppo locale) ed ente gestore (Stato, Regione o proprietario).
Un’altra legge, la numero 278 del 17 Aprile del 1957, prevede la costituzione di un comitato di cinque membri, eletti tra gli appartenenti alla collettività locale, che formano l’autorità di controllo della buona applicazione della norma e in mancanza o per inefficienza di questo comitato, la creazione di un commissario, per le medesime funzioni.
C’è poi un decreto ministeriale del 21 settembre 1984, che stabilisce, per tutta una serie di territori, la tutela da qualunque intromissione speculativa, con lo scopo di preservarli paesaggisticamente: le coste per una fascia di 300 metri dalla battigia, intorno ai laghi sempre per una fascia di 300 metri, i monti oltre i 1800 metri di altezza, i ghiacciai e i territori gravati da Usi Civici appunto.
Anche in questo senso possiamo dire di vivere in uno stato golpista, in quanto la Costituzione Repubblicana ha depredato e azzerato le sovranità locali, le proprietà collettive e intergenerazionali, le terre civiche, l’ acqua, i semi, la salute e il lavoro vernacolare (dal latino vernaculus – nato in casa).
La volontà è quella di considerare l’ambiente come risorsa economica da monetizzare al servizio delle imprese nella concezione neoliberista globalizzata e quindi anche le associazioni governative (Regioni, enti territoriali ecc) ragionano in questi termini.
Noi invece vediamo l’ambiente come Uso Civico, come bene collettivo e indispensabile per una vita di qualità coerentemente equilibrata.
Il gioco delle multinazionali agroalimentari sta nel porre una grossa ipoteca sulla possibilità di vita del Pianeta con gli OGM, impossessandosi così del monopolio sul germoplasma, materia ereditaria trasmissibile tramite le cellule germinali e quindi in grado di preservare, in modo diretto, la biodiversità a livello genetico e quindi la Vita.

Un modo, per bloccare l’assurdo meccanismo che le multinazionali agroalimentari hanno messo in moto, potrebbe essere, ad esempio, considerare il germoplasma come un Uso Civico, nè statale nè privato ma elemento indispensabile al diritto di sopravvivenza di tutti!
Gli Usi Civici non sono altro che il diritto alla vita, diritto che non deve aver bisogno nè di cani da guardia nè di velinari mezzobusto.

Un tempo questo diritto alla vita si esercitava, semplicemente, nell’applicare il proprio lavoro all’elemento naturale per trarne alimenti e quant’altro, necessari alla sussistenza di una collettività autogestita, cosa ben diversa dall’accentramento di poteri gestita da un’elite.
Nel passato ci sono stati casi in cui dei contadini, vecchi abitanti di zone soggette alla pratica degli Usi Civici, hanno tentato di riappropriarsi del loro inalienabile diritto, il primo dei casi di cui siamo a conoscenza si è concluso nel sangue a Melissa, piccolo comune della Calabria, negli anni ’50 i contadini rioccuparono le terre che i loro padri avevano avuto in diritto di condominialità, furono presi a fucilate dai carabinieri che nessuno si era preoccupato di avvertire della piena legalità dell’atto, i morti sono stati ricordati solo in un dipinto, naif, di Cinanni, donato poi a una scuola di Frattocchie dal P.C.I.!
Il secondo caso fu quello tentato da tre contadini di Sillano in Toscana, qui la pratica seguita fu quella legale, iniziò nel primo dopoguerra e si concluse alla fine degli anni ’80 quando ormai uno dei tre era morto, con la raccomandazione da parte dell’ assessore P.C.I. E.Bonifazi che l’ episodio non costituisse precedente per gli altri casi esistenti in Toscana.
Un caso di rivendicazione della validità del diritto di un popolo che torna dopo un periodo di vacanza, così lo descrive R. Cattaruzza in “Favole Partigiane” dedicato proprio alla questione degli Usi Civici è  Campanara, dove gli attuali occupanti sono riusciti, come si è già detto, a bloccare le vendite a privati in presunzione di Demanialità Civica che, tra l’ altro, è suffragata da documenti risalenti al XVIII secolo e stilati dal Granduca Leopoldo.

Purtroppo vediamo la montagna spopolarsi quasi totalmente e questo costituisce un grosso ostacolo per affrontare la questione ma se proviamo ad immaginare che  potenzialità possono offrirci gli Usi Civici, che di fatto è autogestione del territorio e della sua economia, si può capire l’importanza che noi diamo alla loro difesa e rivalutazione, mentre e al contrario, abbiamo, da parte delle istituzioni, la netta volontà di cancellarli perché chiaramente, dal loro punto di vista , costituiscono un serio pericolo alla loro smania di controllo e gestione di ogni aspetto della vita dei singoli e della società nel suo insieme e proprio per la “delicatezza” della questione, per le istituzioni molto scivolosa, loro preferiscono passare attraverso leggi di “iniziativa popolare” che hanno la funzione di trasformare in materia politica quello che invece è diritto dalla notte dei tempi acquisito.

Maurizio Zapparoli

Sindacato Arti e Mestieri USI-AIT

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