Carrara: Morire di lavoro, morire per niente

Foto "Il Tirreno"In momenti come questo, in cui quasi tutta la città si stringe sentitamente attorno al dolore di una famiglia, l’Unione Sindacale Italiana sente doveroso esprimere non il proprio dolore (che appartiene ad ogni individuo che conosce e sente il proprio), bensì il proprio rammarico.
Rammarico per l’ennesimo caso di morte in cava in cui sentiamo alzarsi le voci di tanti, ma non quella dei cavatori, che esprimono giusto cordoglio, partecipe e sincera vicinanza, ma paiono vivere come ineluttabile condizione lavorativa che li espone al pericolo più grande.

Premettiamo che l’U.S.I. non ha iscritti nel settore marmo, e questo perché non ha mai posto al centro delle sue battaglie il “lavoro”, ma i lavoratori, ritenendo che il primo debba essere funzionale ai secondi e non viceversa come ormai siamo assoggettati a pensare; i lavoratori ed i loro diritti, primo tra tutti quello a non morire impiccati al cappio dello stipendio.
La voce dei cavatori quindi, ma non in uno di quei momenti di piazza che troppo spesso abbiamo visto nascere dall’emozione di un istante o di un fatto e spegnersi come un cerino fino alla prossima tragedia; non in una rivendicazione, anche e a buon diritto sindacale, che “chieda” più sicurezza come sentiamo in questi giorni sollevarsi dalle molte voci degli indignati cittadini che nella grande maggioranza dei casi non lavorano in cava e spesso non hanno neppure idea di cosa questo significhi, voci che spesso colpevolizzano esclusivamente i padroni come se il destino di un lavoratore dipendesse unicamente dalle concessioni e dagli accorgimenti che un datore di lavoro può o vuole mettere in essere.
Vorremmo sentire la voce dei cavatori in una rivendicazione culturale che finalmente abolisca la retorica della lotta dell’uomo con la montagna, che di quale lotta stiamo parlando? Che lotta sarebbe? È lotta contro la vita.
Si dirà che il lavoro di cava è pericoloso per sua natura, che l’incidente ci sta, fa parte delle cose; ecco, noi pensiamo che questo sia un concetto inaccettabile, utile solo a lavare le coscienze, perché se mettiamo mano all’archivio degli incidenti in cava ci accorgeremo senza dubbio che la percentuale di inevitabilità è veramente minima, spesso concorrono negligenza, ignoranza, fretta, timore di ritardare il lavoro e quindi compromettere il guadagno…di chi?
Sentiamo parlare di martiri, ma i martiri muoiono a causa di un ideale: qual è questo ideale?
Veramente è lo stipendio? Quello stipendio che si regge sul fuori busta e sugli straordinari necesari?
Quando Meschi raggiunse l’obiettivo della riduzione d’orario a 8 e 6 ore, lo fece perché la voce dei cavatori era forte e consapevole se non dei propri diritti certamente della propria condizione di sfruttamento, ma oggi ci accorgiamo che quella vittoria è un binario morto aggirato dalla linea ad alta velocità, e ogni volta che passiamo in Piazza Gramsci davanti al monumento che ricorda quella conquista dovremmo chiedere scusa a chi ci ha creduto…
Nessun sindacato, nessun consesso politico o ordinanza dell’ASL (le morti di Francesco e Marco nel 1998 sono ancora lì, assieme a tante altre infine realmente impunite) possono costringere un datore di lavoro a rinunciare alla propria corsa all’oro, che si contano sulle dita di una mano (ovunque, non solo a Carrara) i datori di lavoro che mettono in condizione un operaio di adottare le prescrizioni di sicurezza (e non lo si fa semplicemente dotandolo, ma costruendogli un ambiente di lavoro adeguato, tanto più se questo si svolge in condizioni estreme), e forse sulle dita di due mani gli operai che non si muovono se non le hanno ottemperate. Tutte. Sempre. In ogni caso.
Noi crediamo che solo da lì si possa passare per superare questo perpetuarsi di dolore, dalla voce dei cavatori in una pratica quotidiana, costante e condivisa, che magari rallenti il lavoro e spiaccia al titolare, che dovrà adeguare i ritmi ad altre esigenze.
Finché qualche centinaio d’euro varrà più della propria incolumità non ci sarà salvezza, perché quel centinaio d’euro il padrone sarà (quasi) sempre pronto ad offrirlo e stando così le cose l’unica via sarebbe continuare a mettere la testa sotto la sabbia e affidarsi alla sorte sperando che la prossima volta non tocchi a me, mentre le stelle stanno a guardare.
L’alternativa a nostro avviso è riprendere le fila di un discorso interrotto per costruire una cultura differente, che torni a mettere al centro del lavoro ogni lavoratore, i suoi diritti e la sua vita, e in quel caso l’U.S.I. ci sarà, con la propria storia, la propria determinazione, la propria alterità e i propri ideali, non per i lavoratori, ma al loro fianco in una lotta d’umanità.

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