Capitale e operai in una città di porto

Hanno ragione i Clash city workers: non è vero che la classe operaia è morta, non ci sono mai stati tanti operai come oggi. Negare gli operai toglie al lavoro vivo una parola autonoma e la possibilità di auto-organizzarsi. Come a La Spezia: turisti, crociere, musei non tolgono che la città col suo hinterland è industriale. Ha cantieri navali, fabbriche, un arsenale militare funzionante. Grandi spazi industriali da riconvertire, di cui si occupa la s.pa. pubblica Finanziaria ligure per lo sviluppo economico. Dal porto spezzino passa la catena logistica che è una componente della fabbrica-mondo: dal 15 marzo c’è un fast corridor diretto tra il porto e Ikea Piacenza(non la città, direttamente Ikea!); attraverso un sofisticato soft-ware a la Spezia si anticipa di quattro giorni lo scarico di merci prodotte nella fabbrica asiatica, ma anche, a causa dei problemi portuali di Venezia (nebbia,fondali) dall’interporto di Padova partono verso la Liguria 26 treni la settimana. Si trasportano merci non deperibili, c’è forte intensità di capitale fisso e un utilizzo limitato di capitale variabile, quindi sono improbabili, per ora, lotte come quelle dei facchini ai mercati generali basate sulla deperibilità dei prodotti. Non per niente, il presidente dell’autorità portuale creava in porto e tra gli addetti alla logistica la sua base elettorale per correre a sindaco, prima di essere inquisito dalla Guardia di Finanza, nei giorni scorsi. Esempio di un classe operaia portuale, per ora, ben integrata potrebbe essere Maurizio Pozella: ex-gruista, ex rappresentante Cgil, divenuto quadro, poi manager portuale, arrestato nell’inchiesta che ha scosso il porto. La Cina è presente in città e nel territorio non solo coi prodotti fabbricati in Oriente e col commercio minuto, bersaglio dei sindacati confederali, ma anche col controllo di fabbriche importanti come cantiere San Lorenzo (ad Ameglia) che fa yachts di lusso per Sundiro Holding e con il gruppo Ferretti (controllato da cinesi) che controlla il cantiere Riva di Spezia. E c’è una fabbrica diffusa, quasi invisibile, in città e sul territorio, in cui lo sfruttamento è quasi illimitato. Come nelle cooperative costituite su base etnica (albanese; cingalese) che fanno i lavori più ingrati nei cantieri navali. Sono piccole comunità chiuse su se stesse, compatte. Capaci di recuperare crediti con efficacia, come quei rumeni andati da un imprenditore cattivo pagatore al porto di Marina di Carrara( scalo toscano sempre più integrato a Spezia) col bagagliaio pieno mazze da base-ball, ma sono impermeabili, per ora, ad un discorso sindacale. E’ sfruttamento anche nelle piccole ditte che lavorano in subappalto e impiegano a intermittenza centinaia di operai, dove tutto è instabile e incerto (nome stesso della ditta; salario; diritti; lavoro; tfr)tranne lo sfruttamento. La città industriale di Spezia si allarga al territorio. Santo Stefano Magra è in bassa Val di Magra, snodo logistico dalle autostrade del mare a Parma e al Nord, a Genova e Firenze. Nella zona industriale si vedono grandi depositi di container, ma ci sono anche le ditte degli appalti. L’8 novembre Usi La Spezia è territorio ha firmato un accordo presso la direzione provinciale del lavoro. L’altro firmatario era la ditta Style Fitting Yacht, di Santo Stefano. E’ un accordo soddisfacente sul piano economico e contributivo e lo individuiamo come un positivo segnale per Usi. Positivo per il risultato e perché nella difficile ricostruzione della classe per sé dentro l’organizzazione sindacalista rivoluzionaria, bisogna saper cogliere ogni segnale. Senza la testa rivolta ad un passato irripetibile, ma stando attenti a ciò che succede, agendo e studiando, per fabbricare il futuro.

Per Usi La Spezia e territorio

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