Usi-sanità: l’autogestione come metodo di lotta

Documento di analisi e approfondimento sulla sperimentazione dell’autogestione nella sanità.

Riflessioni a carattere generale Sulla situazione a livello sanitario

La crisi del sistema sanitario nazionale e le soluzioni possibili

 

Vorremmo per prima cosa partire dal presupposto che lavorare per vivere è un oltraggio alla dignità della persona. Per noi questo è sempre stato un principio indiscutibile. Questo insulto si rende ancora più evidente quando timbriamo il cartellino non avendo facoltà e diritto di decidere di cosa e di come produrre. Su questo concetto si fonda la democrazia borghese e la società capitalista. Nostro compito e dovere morale è trovare delle strategie per ribaltare questo sistema e neutralizzare questa forma contemporanea di schiavitù. Nella società moderna ogni essere umano, dal momento in cui mette piede al mondo dovrebbe avere alcuni diritti universali che dovrebbero essere inalienabili, tra di questi il diritto alla salute. Questo diritto e questo principio viene ribadito da tutti quotidianamente raccontando addirittura di mondi da favola, tuttavia specialmente noi che operiamo in ambito sanitario sappiamo molto bene che ogni governo, seppur sbraitandolo come intoccabile e difeso lo nega sistematicamente disattendendo ogni promessa fatta. Questo diritto, sebbene non ne riconosciamo il valore politico viene anche sancito dall’articolo 32 della costituzione italiana. Quello a cui stiamo assistendo oggi in ambito sanitario è un qualcosa di diabolico e perverso. Per il capitale la medicina diventa uno strumento di profitto, per cui ovviamente i bisogni del capitale saranno prioritari rispetto a quelli dell’utenza. Secondo i dati ISTAT l’11% degli italiani, pari a ben sei milioni di cittadini rinuncia alle cure nonostante ne abbia effettivo bisogno, per motivi economici. L’attacco allo stato sociale, portato avanti da una sinistra istituzionale sempre più asservita ad una destra protagonista e regista dello smantellamento della sanità pubblica sta già facendo pagare costi salatissimi. una salute merce, una sanità profitto, una prevenzione azzerata, una qualità assistenziale inesistente perché basata su carichi di lavoro insopportabili e su una precarizzazione totale di ogni diritto dei lavoratori. La concessione ai privati dell’intera gestione degli ospedali è un qualcosa di diabolico. La sanità pubblica, da fabbrica di prestazioni che ha tenuto conto dell’efficienza e non delle esigenze dell’utenza nella ”efficacia” delle sue offerte, si trasformerà in maniera progressiva in una enorme fonte di guadagno per la sanità privata, la quale verrà finanziata e favorita da un pubblico sempre meno capace e desideroso di rispondere al diritto di salute.

Quanto emerse dal convegno di Varsavia organizzato dalla rete Europea contro la privatizzazione della sanità nell’ottobre del 2013, ci dette un chiaro segnale di come fosse già stato preoccupante il livello di emergenza per la sanità in Europa. Le politiche di austerità attuate in maniera congiunta in tutti i paesi aderenti all’unione europea stavano portando ad una recessione generale con conseguenze di una gravità senza precedenti. Il documento scaturito dal convegno e condiviso da tutti i partecipanti, riaffermava un chiaro rifiuto dell’austerità sempre più forte, e ben spesso irrevocabile. Riaffermava un netto rifiuto della privatizzazione e della mercificazione della sanità, della tassazione e del saccheggio della protezione sociale per via delle multinazionali. La situazione del sistema sanitario italiano a seguito di tutti i provvedimenti emanati dai vari governi che si sono susseguiti sta precipitando in maniera irreversibile. Come sempre accade a farne le spese sono sempre i settori della società più deboli ed i più bisognosi. La riduzione costante del fondo sanitario nazionale, la demolizione del sistema capillare di diagnosi e cura rappresentato da una rete di piccoli ospedali sparsi sul territorio e la contestuale chiusura di posti letto, non lasceranno più alcuna soluzione al cittadino che non può permettersi un sistema alternativo a pagamento. Il diritto alla cura quindi non sarà più garantito. I lavoratori e le lavoratrici della sanità pagano gli effetti della crisi già da diversi anni ormai. I tagli e le riduzioni sia di posti letto che di personale sono a livelli insostenibili e pesano inesorabilmente sulla qualità e la quantità delle prestazioni assistenziali che vengono fornite. Tali processi nel corso degli anni hanno favorito lo smantellamento del servizio sanitario pubblico a favore di un privato ormai sempre più funzionale al profitto. La vicenda del San Raffaele di Milano nel 2012 ha dimostrato ampiamente l’intento di consegnare un servizio di qualità nelle mani di poche grandi caste imprenditoriali. I lavoratori e le lavoratrici della sanità, pubblica e privata, si ritrovano quindi di conseguenza coinvolti in un processo di destrutturazione del sistema che li lasciano unici protagonisti della necessità di adeguare la risposta sanitaria alle necessità del Paese. Un processo lungo di graduale privatizzazione del sistema sanitario nazionale verso la creazione di un sistema pubblico residuale e di un più generale progressivo arretramento. Un processo degenerato nel corso del tempo e che oggi si palesa in tutta la sua mostruosità: la conversione della salute in merce. Un nuovo modello di sanità commerciale basato su forme di assicurazione privata che fanno della malattia e della sofferenza, della vita e della morte semplici oggetti di profitto. Un processo che trova il suo nuovo tassello nella riforma del governo Monti che con il previsto taglio dei posti letto, la chiusura o ristrutturazione degli ospedali, i nuovi ticket, mette in discussione il diritto alla salute come diritto fondamentale puntando verso le assicurazioni integrative e la privatizzazione della sanità.

 

Al di la delle lotte portate avanti in questi anni con tenacia, siamo convinti che il problema della sanità attualmente non possa più essere considerato solo un problema dei lavoratori.

L’annientamento della sanità pubblica oggi sta diventando un problema sociale, in quanto è in atto il tentativo di cancellare un diritto conquistato dai lavoratori con anni di lotte. Non a caso infatti anche come USI sanità abbiamo spostato l’attenzione e la nostra presenza attiva anche in contesti legati come per esempio al problema abitativo ed alle occupazioni. La nascita di tanti comitati locali in difesa della salute e del sistema sanitario pubblico è espressione di questa presa di coscienza. Il sindacalismo di base e alternativo dovrebbe aver avuto come obiettivo anche quello di valorizzare tali espressioni nei contesti in cui opera con lo scopo di difendere un diritto come la salute in quanto bene comune, con inoltre la consapevolezza che esso è già in fase avanzata di annientamento. Annientamento partito dalla modifica sostanziale del concetto di salute, ben differente ormai dal concetto attuale di sanità il quale equivale alla mercificazione di un diritto. La drammaticità della situazione sanitaria attuale va di pari passo con questa necessità urgente per iniziare a costruire seriamente un percorso comune di lotta unitario al di la delle differenze che possono contraddistinguersi. Se in questi anni abbiamo cercato di portare avanti la nostra presenza nei coordinamenti non era affatto per snaturare l’USI del suo pensiero oppure per mescolarsi ai tanti soggetti che ne facevano parte, ma in quell’ottica. Noi pensavamo a coordinamenti senza egemonia.

Coordinamenti che si potessero autogovernare e dove le decisioni fossero prese in assemblea come unico organo decisionale per lavoratori e cittadini. L’USI sanità, insieme ad altre realtà sindacali di base aveva ritenuto indispensabile trovare una via comune per rimettere insieme tutto ciò che si muoveva e si collocava sul terreno della difesa del diritto alla salute e costruire un fronte sociale il quale si opponga seriamente allo smantellamento della sanità pubblica. Come USI sanità ci eravamo proposti di collaborare per mettere insieme e far comunicare, a prescindere dalle appartenenze politiche e sindacali, purchè situate in una condizione di conflitto sociale, tutte le esperienze di lotta e di resistenza nei territori. Sarebbe stato fuorviante e da ingenui pensare che le piccole e grandi vertenze che legano molti lavoratori di tante aziende sanitarie attualmente in lotta nel panorama nazionale potessero essere sconnesse dagli accadimenti voluti dal governo centrale ed i quali coinvolgono l’intera popolazione. Lo abbiamo fatto in più occasioni sempre cadute nel vuoto. Era infatti In questo contesto che come USIS lanciammo la proposta di un’assemblea nazionale del sindacalismo di base e dei coordinamenti in lotta nella sanità. Era Proprio per queste ragioni inoltre che sempre come USI alcuni mesi addietro proponevamo la costituzione di un serio coordinamento sanità nei territori partendo dall’esperienza Milanese. Così come era per queste ragioni che come USIS siamo stati contattati dalla Coordinadora spagnola per la difesa del diritto alla salute. Per le nostre idee ed il nostro modello di sanità a cui crediamo. Certamente nessuno di noi all’interno di USIS è così sciocco e sapevamo molto bene che nessuno avrebbe risposto positivamente al nostro appello ma lo abbiamo fatto consapevoli delle nostre idee e dei nostri obiettivi. Su queste basi continueremo il nostro lavoro, la nostra lotta e la nostra azione.

Come Anarcosindacalisti il nostro obiettivo è quello di lottare per migliorare fin da subito le condizioni dei lavoratori e dei cittadini senza perdere di vista il nostro rifiuto per le istituzioni e per il modello di società che ci viene imposto. Almeno questo è ciò che noi pensiamo.

Un’altra idea di sanità è possibile

Diciamolo pure francamente, la risposta all’attacco sociale portato avanti indistintamente dai vari governi che si sono succeduti nel corso di questi ultimi decenni è stato un vero e proprio fallimento. Tuttavia non è certo in questo contesto che vogliamo e dobbiamo fare analisi sulle motivazioni e sulle responsabilità. Non ci interessa più. Vogliamo andare oltre. Dal momento che come Anarcosindacalisti non cerchiamo di andare contro il sistema, ma bensì di andare fuori dal sistema stesso, dopo anni di proteste fallimentari crediamo sia arrivato il momento di agire. La storia dell’umanità dimostra che non solo l’autogestione è possibile, ma è nella maggior parte dei casi più efficace e valida del sistema basato sulla gerarchia e sull’autoritarismo imposto nei luoghi di lavoro. Gli anarchici soprattutto, ma non solo, fanno dell’autogestione uno dei principi fondanti del pensiero libertario. Il sistema di Potere attuale, in qualunque forma si presenti, struttura la propria essenza non solo sul controllo e il governo delle risorse, ma anche sul controllo e il governo degli individui. Talvolta questo sistema autoritario è giustificato dagli stessi subordinati, i quali si ritengono incapaci, per via “dell’educazione” volta ad annichilire l’individuo, di gestire autonomamente le proprie esistenze.

Riappropriarsi degli spazi pubblici in stato di abbandono è una pratica che si sta rapidamente diffondendo in tutto il paese. Una prima risposta diretta alle politiche di austerity, ai tagli al welfare, alla sanità e all’istruzione pubblica, all’impoverimento generalizzato nel quale siamo costretti a vivere e che vogliamo ribaltare creando nuovi spazi di solidarietà e percorsi che nascano dal basso, dove poter discutere di come soddisfare i nostri bisogni effettivi, fuori dalla logica dei profitti. Dal momento che allo stato attuale una rivoluzione non rientra nell’ordine del giorno, dovremmo pensare a costruire attraverso un sistema autogestionario ad una contro società. Un modo di relazione sociale diverso, in quanto secondo noi le lotte rivendicative si ottengono maggiormente se in esso c’è una spinta autogestionaria attraverso una cultura dell’assemblea seria ed efficace. Per quanto ci riguarda più strettamente da vicino non crediamo si tratti di discutere in questo contesto un modello alternativo di gestione del servizio sanitario. Si tratta di prendere atto che a fronte di tagli alla sanità come ad altri servizi, nonchè ai rovesci della produzione nelle attuali crisi economiche, oltre alle lotte rivendicative di resistenza sono state messe in campo in vari paesi (Argentina, Grecia ed in piccola parte cominciano anche in Italia), forme di riappropriazione diretta. Crediamo sia pensabile che certe pratiche possano diffondersi maggiormente nei prossimi anni non per opzione ideologica, ma per necessità oggettive. Ora al di là del valore diverso che ciascuno di noi può dare all’autogestione, si tratta di capire se questo campo di azione sociale in ambito di sanitario può rientrare nel nostro patrimonio comune oppure no. E’ evidente che la pratica sperimentalista non può in nessun modo esser contrapposta alle lotte rivendicative nei confronti del SSN. Gli accadimenti che si sono susseguiti drammaticamente a seguito della crisi del sistema sanitario attuale hanno fatto emergere e sviluppare in alcuni contesti le prime forme di autogestione ed autogestione diretta anche nella sanità. Questa situazione di crisi potrebbe far presagire o immaginare che l’autogestione si possa attuare soltanto in un contesto di emergenza. Vi sono per esempio le situazioni Greche di Kilkis, l’esperienza dell’assemblea popolare di Petralona, Exarkia ed Hellenikon di Atene, oppure le esperienze di autogestione di ambulatori popolari a noi più vicine tipo Firenze con l’esperimento dello sportello di orientamento alla salute, di Milano, Genova, Livorno ed altre che sono in via di sviluppo. Tutto ciò sarebbe un errore gravissimo. Crediamo sia ovvio che si debba perseguire un percorso che vada in tutt’altra direzione e che stia in relazione alla necessità di rompere definitivamente con il sistema statale classico il quale ha drammaticamente fallito. Un sistema secondo noi che non poteva altro che fallire in quanto non stava al servizio dei bisogni dei cittadini ma bensì all’interno di una logica disumana che mercifica il diritto alla salute.

L’autogestione nella sanità non deve essere considerata soltanto come un sistema alternativo, ma deve generare un altro sistema in cui la salute pubblica sia pienamente in funzione dei bisogni dei cittadini. Le trasformazioni subite negli ultimi anni dal sistema sanitario hanno generato un servizio pubblico che, per far quadrare i conti, risponde alle logiche gestionali prima che alla domanda di salute. Si tratta di un sistema sanitario basato sul rapporto tra il numero di prestazioni effettuate e il profitto di chi le produce.

In questo panorama non trovano spazio le politiche di prevenzione e di diritto alla salute e si assiste a un progressivo smantellamento delle strutture ospedaliere pubbliche e poliambulatoriali territoriali, alla riduzione significativa di servizi socio-assistenziali e all’affidamento di queste mansioni a strutture private. Vittima di tale politica sono anche i consultori, caratterizzati un tempo da una presenza territoriale capillare e, fino a pochi anni fa, dall’accesso completamente gratuito.

L’autogestione come metodo di lotta ed oltre…….

Dobbiamo fin da subito precisare che, considerando il diritto alla salute come un diritto fondamentale e inalienabile dell’individuo e della collettività, crediamo sia opportuno sottolineare che parlare ed attivarsi alla sperimentazione autogestionaria nella sanità non vuole e non deve essere considerata come un’attività sostitutiva ai servizi offerti dal SSN e neppure una attività di generico volontariato, ma una forma di autorganizzazione sociale, solidale e mutualistica. Consideriamo questa nostra battaglia come la fase iniziale di un obiettivo cui raggiungere per l’estensione dei diritti e delle garanzie di cittadinanza per tutti ed un punto di informazione e discussione intorno al tema della salute e del diritto alla cura. Se la salute quindi per quanto ci riguarda è un diritto di carattere pubblico, un bene comune né statale né corporativo, ma bensì di tutti cittadini, come anarcosindacalisti abbiamo il diritto di promuoverlo con ogni mezzo a noi più consono. L’autogestione della salute è un’aspirazione giusta e necessaria per l’insieme della società, che richiede lo sviluppo di centri di salute all’altezza di questa svolta. Abbiamo sempre sostenuto che la salute non può essere un affare ed una merce, pertanto neanche le nostre coscienze possono essere mercanzie al servizio dello Stato, delle industrie farmaceutiche, e del resto dell’apparato sanitario dominante. Non possiamo tuttavia evitare l’importante lotta che si sta sviluppando in seno alla sanità pubblica, contro il percorso perverso intrapreso verso la redditività della salute tramite la riconversione del pubblico in privato.

Pensiamo che la lotta non deve essere però solo per il recupero di un luogo di lavoro o di un ospedale privatizzato. Crediamo sia necessaria un’altra idea di salute, un altro modello che apra la via allo sviluppo di un sistema di salute al margine del modello egemonico. Un modello di sanità pubblica cooperativista per la difesa della salute come diritto. Un modello che deve basarsi sulla costruzione e sull’azione partecipativa come parte dello sviluppo umano dell’individuo in tutte le sue dimensioni. Un processo sperimentale collettivo d’insieme con l’obiettivo che le persone possano lavorare in forma sinergica e creativa per dare gestazione ad una società libera. In questo contesto noi crediamo si debba valorizzare ed intervenire dove poter praticare un’idea differente del diritto alla salute, coniugando un’attività concreta di intervento nel territorio con una battaglia politica più generale di trasformazione sociale. Un luogo in cui l’attività svolge anche un ruolo di comunicazione e non di pura osservazione. Un tentativo di unire un concetto di cura e di prevenzione con la denuncia degli abusi di una sanità permeata di profitti, sempre più inaccessibili per i poveri, sempre più a misura di ricchi e assicurazioni private. Il progetto che noi abbiamo in mente nasce dalla convinzione che sia possibile e necessario vivere in modo autonomo e autogestito, dal momento che gli stati ed il sistema hanno smesso, o meglio non hanno mai iniziato ad essere un servizio per i cittadini. Se ognuno di noi cambiasse il proprio atteggiamento e smettesse di appoggiarsi alle strutture di potere salvo necessità urgenti e insostituibili potremmo invertire rotta e decidere coscientemente cosa vogliamo e cosa no. I progetti di autogestione che anche come USI sanità ci proponiamo di promuovere mirano alla costruzione di un’informazione diversa finalizzata al reale coinvolgimento dei soggetti, per diventare luogo di autorganizzazione dei bisogni reali. Su questo spirito e sotto questa ottica dobbiamo svolgere permanentemente questo lavoro. Nostra funzione insieme a tutti quei soggetti interessati è di valorizzare questa nuova idea di salute pubblica, ponendosi come obiettivo di dare praticità ad un progetto e fare in modo che non rimanga soltanto forma astratta. In questo contesto non dobbiamo inventarci niente di nuovo, così come non dobbiamo partire completamente impreparati. Dobbiamo confrontarci ed organizzarci. Ci sono molte esperienze a cui poter fare riferimento e da cui attingerne il lavoro e la programmazione per poterla sviluppare ed analizzare anche nel nostro ambito. Abbiamo rivolto per esempio particolare attenzione sull’approfondimento alle esperienze spagnole di autogestione della sanità, che non si limitano soltanto a far fronte a necessità causate dalla crisi, ma propongono un nuovo modello sanitario. Le strutture sanitarie autogestite infatti non devono essere soltanto una risposta a dei problemi che hanno a che fare unicamente con le cura medica, o per riempire il vuoto lasciato dallo stato. Quello che pensiamo è ad un progetto creato mediante un assemblea generale di vicini, progetti sociali e collettivi che vivono e agiscono dentro ai territori che tenga di conto dall’assistenza sanitaria di base, all’ aiuto immediato gratuito e appoggio psicologico fino alla promozione del concetto di una sanità aperta a tutti gli individui senza discriminazioni per razza, colore, origine, identità sessuale o religione. Ciò che deve spingere maggiormente i suoi partecipanti nell’agire politico è il concetto di solidarietà reciproca, contrario ad una visione egoistica o di assistenzialismo filantropico, dato il fatto che tutti possiamo essere migranti, senza tetto, lavoratori precari e senza accesso al sistema sanitario. Per questo ciò che dobbiamo applicare nella pratica è la forma nella quale ci piacerebbe vedere la sanità gestita nella società alla quale aspiriamo, una società solidaria e umana davvero. Riteniamo che il nostro progetto di autogestione debba altresì essere cellula viva di resistenza sociale e di emancipazione contro le barbarie contemporanee, cosi come la collaborazione con le assemblee popolari e i sindacati di base.

Sindacato Autogestito USI- AIT Sanità – Federazione Nazionale
Sindacato Autogestito USI – AIT sanità Firenze
Corrado Lusi Katia Boldrini

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