La cattedra vuota di Francesco Mastrogiovanni

Misteri

di Angelo Pagliaro

Non si è ancora raggiunta, dopo quarant’anni, la verità sull’omicidio di Giuseppe Pinelli che un caso molto simile impegna la magistratura di Vallo della Lucania. Questa volta l’anarchico in questione non è volato da una finestra della questura ma è spirato, a soli 58 anni, alle 7,20 di martedì 4 agosto, quattro giorni dopo il ricovero avvenuto il 31 (luglio), legato mani e piedi (per quanti giorni?) ad un letto dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania. Liberazione è stato il primo giornale nazionale a parlare della morte di Francesco Mastrogiovanni, grazie al tempestivo intervento dell’insegnante – editore Giuseppe Galzerano, amico e compagno del maestro. Per gli amici più intimi di “Franco” ci si trova di fronte ad un’altra triste storia di persecuzione e di repressione.

L’ultima vacanza. Il 30 luglio il maestro Francesco si trova in vacanza nel campeggio Club Costa Cilento quando, mentre si appresta a fare il bagno, viene inseguito dai carabinieri. In preda al panico inizia a correre e dopo un breve inseguimento la pattuglia desiste e il maestro si rifugia nel bungalow del campeggio. In questo camping è molto conosciuto e la signora Licia, la proprietaria, di tanto in tanto, gli affida i suoi nipotini. La mattina del 31 luglio le forze dell’ordine ritornano nel villaggio turistico, sono una quindicina i carabinieri coadiuvati da una pattuglia dei vigili urbani e da un medico dell’ospedale di Vallo della Lucania. Sono venuti a prendere Francesco per portarlo in ospedale. Il maestro appena li vede scappa dalla finestra, raggiunge la riva e a nuoto cerca di allontanarsi in direzione di una secca. Grazie al suo fisico poderoso (è alto m.1.90) resta in acqua per circa due ore. Come si fa per i più grandi trafficanti di armi e di droga sopraggiunge persino una motovedetta ed il film, in pieno stile holliwoodiano è garantito gratuitamente a tutti i villeggianti. Sfinito per lo sforzo decide di ritornare a riva, chiede una sigaretta e si fa una doccia. Ormai ha capito che tutto è stato già deciso. Nonostante lo stato di assoluta tranquillità gli vengono fatte tre iniezioni. Prima di salire sull’ambulanza rivolgendosi alla proprietaria del campeggio, la sua amica Licia, le dice: “Se mi portano a Vallo, non ne esco vivo”.

Il ricovero e la morte. Dopo quattro giorni di ricovero Francesco muore per un infarto causato da edema polmonare. Questa volta , pur trattandosi di un libertario, non siamo in presenza di un “malore attivo” o di “morte accidentale” e dall’autopsia emergono particolari che definire inquietanti è poco. Il cadavere del maestro presenta diversi lividi sul corpo e segni di lacci su polsi e caviglie. Sulla cartella clinica non c’è traccia del provvedimento di contenzione. Quattordici, fra medici e infermieri finiscono sotto inchiesta perchè “il maestro più alto del mondo” , come lo chiamano i suoi scolari, non è solo. Intorno al suo cadavere tanti amici e parenti chiedono verità e giustizia.

Una vita difficile. Quella di Francesco Mastrogiacomo è stata una vita breve e difficile. Negli ultimi anni ha cercato, in ogni modo, di lasciarsi alle spalle i brutti ricordi tra i quali la morte di Carlo Falvella, giovane neofascista, vicepresidente del Fuan salernitano, ferito a morte durante l’aggressione dell’anarchico Giovanni Marini il 7 luglio del 1972. Insieme a Giovanni Marini e Gennaro Scariati, Francesco stava passeggiando sul lungomare di Salerno. “Incontrano Carlo Falvella e Giovanni Alflinito armati di lame. Francesco accelera il passo per andare a parlare con loro. Dai racconti e dalle testimonianze del processo emerge come tentò di far da paciere ma, per tutta risposta, ricevette una coltellata ad una coscia da Alflinito e stramazzò a terra. I due compagni intervennero immediatamente e, nella rissa che ne seguì, Giovanni riuscì a disarmare Falvella ferendolo a morte con la sua stessa arma. Si costituì il giorno stesso mentre Franco venne trasportato in ospedale. Gennaro, invece, sarà immediatamente scarcerato perché minorenne.” In quell’epoca gli scontri fisici tra militanti dei vari partiti e movimenti erano all’ordine del giorno. Francesco era anche impegnato in un lavoro molto complicato: stava cercando di ricostruire le dinamiche di uno strano incidente stradale che il 27 settembre 1970 aveva provocato la morte sulla autostrada Roma-Napoli, nei pressi di Ferentino, di cinque giovani anarchici calabresi che si stavano recando a Roma per consegnare alla redazione di Umanità Nova i risultati di una loro “controinchiesta” sul deragliamento del “Treno del Sole” Palermo-Milano del 22 luglio del 1970, avvenuto nei pressi della stazione di Gioia Tauro.

Da quel triste periodo, per Francesco, il solo vedere uomini in divisa gli provocava dolore e ansia. Il 5 ottobre 1999 viene arrestato nuovamente, gli mettono le manette ai polsi per aver protestato contro il vigile per una semplice multa per divieto di sosta a Vallo Scalo. Il maestro denuncerà tutte le persecuzioni subite in venti anni: dall’arresto illegale, alle lesioni personali, all’abuso di autorità e calunnia. Per lui scattano gli arresti domiciliari presso l’abitazione familiare, a Castelnuovo Cilento e il compito di controllarne l’osservanza, guarda caso, viene affidato agli stessi carabinieri da lui denunciati. L’unica ancora di salvezza per la mente di un uomo così perseguitato è l’insegnamento, il rapporto con i bambini della sua scuola. I bambini adorano il loro “maestro gigante”. Le uniche proteste dei genitori sono sempre state avanzate perché era poco severo. Era riuscito a rimanere se stesso nonostante tutto. Adesso che la cattedra è vuota qualcuno sussurra “non sono riusciti a cambiarlo”.

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