Prove di sindacalismo sociale?

Non capita spesso vedere una sede dell’Unione piena di persone che fanno cose. E’ successo tre volte, a ottobre e novembre, a La Spezia. Come il 22.10, per il talk di Allegri e Foti, stimolo ad una rinascita su basi serie del sindacato lavoratori indipendenti. Cui è seguita una conferenza, di un economista di Bruxelles/Sarzana(Sp), fatta con una Comunità di sostegno all’agricoltura. Informare, in Occidente, sul debito africano e sudamericano conta più della maggior parte degli interventi contro il debito stesso: lo dice un economista che ha lavorato nella cooperazione internazionale.

 

 

Che ci ha parlato del meccanismo e dell’impatto del debito, a partire dalla scelta di Nixon nel 1971 di slegare il dollaro dall’oro,ma anche di personaggi virtuosi come il rivoluzionario africano Tomàs Sankarà e del nostro Silvio Gesell, economista anarchico e commissario per 7 giorni, prima che si scatenasse la repressione,nella Repubblica dei consigli di Baviera. Tornando a noi, la finanza e il capitalismo hanno vinto? Qualcosa vorrà dire se i nemici additati dall’ex capo della FED, Allan Greenspan, sono i sindacalisti, gli ecologisti e gli attivisti della chiesa di base. Anziché un’impossibile utilizzo dello stato contro la finanza, la prospettiva su cui lavorare è parsa quella di solidi progetti di economia alternativa, basati su solide comunità locali, utilizzando monete locali per togliere potere alle banche. Sulle montagne e nelle periferie si può, forse, riorganizzare una vita sociale più giusta. Non a caso in Chiapas, nel Kurdistan, ma anche in zone montuose in Italia c’è una sperimentazione sociale interessante per i libertari. Che non significa smettere di lottare in città e nei luoghi di lavoro. Ricorrente, nella conferenza, il libro di Tonino Perna ” Monete locali e moneta globale. La rivoluzione del XXI secolo”, ma ci è piaciuto ricordare Maurizio Lazzarato e l’anarchico David Graeber. Da registrare il totale dissenso dei marxisti di Alternativa di classe, circolo spezzino che edita l’omonima rivista, sia sull’impostazione che nel merito della conferenza sul debito e del talk di Allegri/Foti.

 

Domenica 20 novembre sono venute nella sede di Usi alcune solide realtà di economia alternativa, attive nel comprensorio, che ancora non si erano confrontate, almeno non tutte. Ne sono nati contatti e collaborazioni, resi possibili proprio dall’iniziativa di Usi. Ha aperto il confronto una rete orizzontale di agricoltori, gruppi di acquisto e tecnici(agronomi; ricercatori sociali). E’ nata per organizzare i mercati settimanali, contro le grandi organizzazioni come Coldiretti. L’associazione ha dato continuità all’economia delle aziende agricole (individuali)che la compongono, ma i produttori, ora che hanno mercato, partecipano meno alla vita associativa, che comunque è compensata da una forte produzione intellettuale. Il biologico, per questa rete, è un scelta politica. La prima relazione è terminata con un riferimento ai “tempi di vita” così declinato: molti prodotti sono in mano ai corrieri (cioè alla logistica) e i gruppi di acquisto solidale non li hanno ancora scalfiti. Basti dire che gli agricoltori nell’entroterra fanno marmellate perché non sono in grado di portare la frutta fresca ai mercati di costa. Si deve lavorare sulla distribuzione. Servono progetti per pensare più lontano.

 

Recupero e salvaguardia della terra è lo scopo di un altro gruppo di attivisti, costituito in associazione. Riutilizza campi agricoli abbandonati nella Piana di Luni e in Lunigiana, durante decenni di esodo in città, per coltivarli con varietà antiche come un grano frassineto (1926)e il farro della Garfagnana. Apre a tecniche di coltivazione sperimentali, come quelle apprese da una coltivatore molisano. L’associazione si finanzia attraverso quote con cui gli associati accettano il rischio che il raccolto vada male.

 

La rivendicazione degli usi civici in una parte di comprensorio del marmo è la premessa ad una cooperativa che crea lavoro, combatte disastro idrogeologico e incendi. Oggi nella coop lavorano undici persone. Gli usi civici, proprietà né pubblica né privata, insistono su 65 ettari di bosco e seminativo. La coop. sta andando bene, confermando l’idea che le sperimentazioni sociali, oggi, avvengono in montagna. Riattiva l’economia del bosco con successo. Fa apicoltura, interamente finanziata da un gruppo di acquisto solidale della costa, e produce farina di castagno in un vecchio essiccatoio recuperato. Contro la monocoltura del marmo che condiziona il territorio, gli agricoltori in montagna praticano l’impegno diretto quotidiano, oltre ogni hobbysmo.

 

Esiste in Italia, un equivalente della “cooperativa integrale catalana” ? Non è una domanda da convegno di studio, il contrario, perché se ce ne fosse una, o più di una, con un punto di equilibrio accettabile tra solidità e forza economica, principi ispiratori ed efficacia, il movimento di emancipazione del lavoro di cui è parte il sindacalismo rivoluzionario ne sarebbe rinforzato. A La Spezia, dove è tristemente nota Enel, è nato un nodo di una grossa cooperativa a base nazionale, che finanzia la costruzione di impianti per produrre energia da fonti rinnovabili. Nasce da un agricoltore piemontese che decide di auto prodursi energia. Oggi conta oltre mille soci, tra consumatori e tecnici, questi ultimi circa cinquanta tra architetti, ingegneri, tecnici che erogano consulenze e servizi ai soci. La coop ha un codice etico che ad es. dice no a nuove centrali idroelettriche. Attua un sistema di produzione di energia decentrato, capace di sottrarre risorse alle banche e reinvestirlo per arrivare all’autonomia energetica di individui e aziende e ad una società ecologica.

 

“Siamo tutti senza tempo”, terminava il primo intervento. Una mutua del tempo nella Piana di Luni muove una sorta di economia locale: ”Tu fai fare le cose agli altri, tu fai le cose per gli altri”. Parametro dello scambio (collettivo) è il tempo. Oggetto dello scambio: piccoli lavori, al di qua della soglia di prestazioni professionali, e una serie di attività che producono e fanno circolare ricchezza sociale. Si paga con assegni in ore. Necessarie al funzionamento di una banca del tempo sono: una segreteria che tenga la contabilità delle ore; un regolamento interno.

 

Intrecciata alla mutua del tempo e ad altre iniziative convenute nella sede Usi il 20.11 è la comunità di sostegno all’agricoltura attiva nella Piana di Luni, che è intervenuta dopo la mutua del tempo. Rispetto ai gruppi di acquisto solidali sottolinea l’aspetto “solidale” della sua azione economica. E’ alternativa al sistema di mercato perché parte dal fabbisogno e fa prefinanziamento ai produttori [sul modello francese degli Amap]. Sostiene produttori a km. zero, ma anche iniziative come Funky tomato e la coop. Terramia della Val di Belice. L’intervento ha problematizzato alcuni punti: l’uomo della strada risponde alle sollecitazioni dell’altra economia? Fino a che punto deve arrivare il volontarismo degli attivisti impegnati nell’altra economia?

 

Una reazione seria alle distorsioni della monocoltura del lapideo viene da una rete di artigiani e free-lance nel comprensorio del marmo. Che non lanciano, dal bar, davanti ad un camparino ben ghiacciato, lo slogan “Le cave ai contadini” o il comunicato sull’omicidio bianco che non capiamo più se denuncia l’ultimo infortunio mortale o precede il prossimo, ma realizzano ogni giorno un altro modo di stare, di lavorare nel lapideo. No al frantoio che distrugge il marmo trasformandolo in carbonato di calcio e distruggendo le montagne; sì a lavorati di qualità, al sapere, alle tecnologie, al consolidamento del lavoro mettendosi in rete. Si ordina e si acquista su Amazon, non c’è magazzino, non si spreca marmo, non si cannibalizza il territorio, c’è un sito unico per vari artigiani. I semilavorati vanno alla stazione centrale che li assembla, ma non c’è una gerarchia: l’organizzazione è orizzontale e reticolare. [Il modello è un creative commons riutilizzabile]. Ne fanno parte 20 aziende artigiane, 6 designer, 2 artisti. Una considerazione ed un dubbio. La considerazione è se la dimensione artigianale e di ditta individuale garantisce dallo sfruttamento e dall’auto sfruttamento chi lavora. Il dubbio: la retorica ottocentesca del cavatore che lavora duramente nelle cave di marmo fino a che punto nasconde dentro il folklore, l’economia reale, i nuovi rapporti di forza reali e gli interessi di un ceto politico, straccione, ignorante, moralmente miserabile come pochi, che vive come un parassita sui problemi del lavoro, senza risolverli, ma mantenendoli di stagione in stagione per mantenere un ruolo a se stesso?

 

Ascoltando la storia di un villaggio ecologico, abbiamo avuto la conferma che la montagna, la periferia possono essere terre di sperimentazione sociale. Il relatore ha parlato dei chiaroscuri dell’altra economia, riprendendo il filo critico, problematico di alcuni interventi precedenti. Sono stati acquistati terreni. Riprese case di montagna. E’ stata fondata una coop. di servizi. C’è nell’esperienza dell’eco villaggio sull’Appennino, il risultato dell’esperienza e della ricchezza sociale accumulata in tanti anni di lavoro e militanza, e un’occasione per una ripartenza e per un ulteriore accumulo. Per inciso, un ingegnere residente nell’eco villaggio è anche un tecnico nella coop. che costruisce impianti per la produzione di energia alternativa a conferma, ce ne fosse bisogno, della bontà delle strutture a rete.

 

La struttura a rete però non è buona di per sè se vediamo come anche il sistema fa rete nelle sue componenti. E noi facciamo rete per combatterlo? Parte da qui l’intervento di una scuola popolare di economia. L’economia esiste. E’ un fatto. Tutto quello che si fa ha un impatto sociale ed un effetto generale. Per proporre un’alternativa bisogna sapere come funziona l’economia, ma 44% degli italiani (dato Bankitalia) non sa niente di economia; il 16% non ha accesso. Anche per questo partono iniziative economiche che poi non reggono. La scarsa alfabetizzazione economica è un punto debole di chi vive di lavoro. Da qui, una scuola popolare di economia rivolta, ad es., a detenuti a fine pena che faranno gli artigiani. Si è parlato di una microimprenditorialità, lavoratori individuali, che ci ha riportato dritti al Quinto stato di Peppe Allegri.

 

L’agricoltura biologica, in molti casi, è una scelta politica dei produttori. Non dimentichiamo che ha origine anche da Murray Bookchin, l’ecologista libertario che ha ispirato anche la svolta municipalista del PKK curdo. Nelle cittadine tra Liguria e Toscana, le grandi associazioni di categoria tenevano insieme agricoltori biologici e non biologici, con grave danno dei primi. L’azione autonoma dei biologici contro Coldiretti, Cia, Slowfood ha letteralmente conquistato gli spazi per mercati bio autogestiti nel quartiere di Migliarina (a La Spezia) e in altre cittadine. Un problema del Biologico è che ci sono pochi produttori rispetto alla domanda e che, come in Val di Vara, alcuni agricoltori diventano biologici per avere i fondi europei ma, dopo qualche anno, cessano le coltivazioni biologiche. E’ stato criticato il ruolo di Slow Food in Val di Vara nella formazione del distretto del biologico, che sembra più un fatto di marketing e di controllo che di agricoltura biologica.

 

Alcuni tratti emersi nel confronto di domenica 20.11. Esistono realtà radicali e alternative allo stato di cose esistenti e con esse Usi può dialogare, senza complessi e senza tralasciare le fabbriche, gli uffici, gli ospedali. Si radicano nei territori e fanno cose. Temi come la salvaguardia del territorio e la sovranità alimentare sono all’ordine del giorno nelle realtà alternative e richiamano da vicino metodi e scopi di Usi. La polemica contro grandi enti come Cna, Coldiretti, Cia, Slow-food, Enel è forte ed ha come parte costruttiva l’auto organizzazione del lavoro, secondo una logica che richiama l’allontanamento di parti della lavoro salariato dai sindacati confederali. Il lavoro vero e proprio ( semplice e complesso) è la base comune alle attività di queste associazioni. In fine, dopo i tre appuntamenti, la sensazione è che la stimolante formula “sindacalismo sociale” di cui si legge è soprattutto un nome alla moda per dire “sindacalismo rivoluzionario”. Una volta notate le grandi affinità, altra cosa è se il sindacalismo rivoluzionario saprà interagire con efficacia e continuità con le sperimentazioni sociali in corso un po’ovunque nei territori se non, addirittura, essere il contenitore in cui esse si federano

 

Usi La Spezia e territorio

                                                                    

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