PARLIAMO DI… MOBBING

Sono proprio di questi giorni, gli ennesimi incidenti sul lavoro, ad Imperia ed a Mineo (Catania), incidenti che lasciano dietro di sé dolore, rabbia, sconcerto ed una infinita serie di polemiche, che, come al solito, lasciano le cose come stanno.
Non esiste però solo l’incidente di lavoro “cruento” e “rapido”, che porta alla morte del lavoratore o alla mutilazione e all’invalidità, esiste anche un lavoro che logora ed uccide lentamente, è quello più subdolo e protratto nel tempo, questo ha un nome, si chiama mobbing!
Il termine deriva dal verbo inglese to mob, che significa “malmenare, assalire tumultuando, in massa.
Rapportato all’ambiente di lavoro possiamo dire che il mobbing è una situazione di esclusione, di emarginazione e di aggressione verso un lavoratore da parte dei suoi superiori o da parte dei colleghi.
Solitamente il mobbing è attuato dalla direzione dell’Azienda o dell’Ente e quindi dai capi verso i sottoposti, può capitare che sia un gruppo di dipendenti che lo attua verso un collega di lavoro, poiché non accetta l’inserimento di un nuovo “soggetto”.
Nelle dinamiche del moderno “capitalismo selvaggio”, il fenomeno ha assunto una importanza fondamentale, in quanto sia nel comparto privato che in quello pubblico, l’adozione di pratiche di mobbing riesce ad avvelenare la vita di milioni di persone, costringendoli all’infermità e a lasciare il lavoro, colpiti da ansia, stress, malattie psicosomatiche, questo indipendentemente che si tratti di uomini o donne, di giovani od anziani.
C’è un leggera prevalenza di questi ultimi, e ben si comprende, nella logica dello sfruttamento capitalistico, l’anziano sopporta meno i soprusi, mentre il giovane accetta meglio i piccoli soprusi, si adatta alle condizioni di lavoro più sfavorevoli e cosa non trascurabile, costa molto meno!
Inoltre è possibile che il lavoratore anziano, sottoposto a mobbing sia portato ad andare in pensione anticipatamente.
I metodi per attuare il mobbing possono essere diversi; palesi e violenti o sottili e silenziosi. Nel primo caso si va dalle aggressioni verbali o fisiche, con urla, con allusioni pesanti alla sfera privata o sessuale; nel secondo caso c’è un succedersi di episodi che mirano al progressivo isolamento dell’individuo ed alla esclusione dal gruppo. Tutto questo si manifesta con provvedimenti disciplinari (continue lettere di richiamo ingiustificate), nel caso di malattia, con uno stillicidio di visite mediche fiscali. Sono attuati trasferimenti in sedi disagiate, cioè lontane dalla famiglia e scomode da raggiungere. Si attuano dei procedimenti di “dequalificazione”, si costringe il lavoratore a svolgere compiti inferiori alla propria qualifica, ma paradossalmente si può verificare lo spostamento ad una mansione superiore, alla quale il lavoratore non è preparato e quindi quando sbaglia, viene punito.
Quali sono le cause del mobbing? Sono diverse, ma tra le più frequenti c’è la cattiva organizzazione del lavoro, a ciò va unita poi la presenza di individui negativi, portatori di aggressività e quindi potenziali creatori di mobbing. Dobbiamo ricordare che non tutti i problemi di lavoro costituiscono mobbing, si deve fare una distinzione tra questo ed i normali litigi tra colleghi o gli scontri con i superiori. Il mobbing non è uno scontro episodico ma una “patologia sociale“, caratterizzata dalla continuità nel tempo e dalla intensificazione delle aggressioni, che portano la “vittima” all’isolamento, all’emarginazione, sino alla malattia ed in taluni casi alle dimissioni.
Quali sono i metodi di difesa contro queste “molestie morali”? Prima di tutto non isolarsi e restare in silenzio, il mobbing mira proprio a questo, indurre nella vittima la convinzione di essere solo e l’unico a subire certi soprusi. Cercare, per quanto possibile, alleati nell’ambito del posto di lavoro, anche se è molto difficile. Parlarne con i familiari e con gli amici senza creare l’ossessione di questa persecuzione. In questo ambito occorre rafforzare se stessi e documentarsi, mettere in campo la propria calma e determinazione e far notare agli “aggressori” che stanno attuando una vera e propria molestia morale, per fare questo si possono richiedere l’aiuto degli organismi sindacali,di avvocati, di medici e psicologi.
La denuncia sul posto di lavoro deve servire ad informare gli altri, ciò che si sta subendo :
1)     La denuncia deve essere pubblica,i colleghi di lavoro debbono essere a conoscenza di tutto, anche per evitare che la direzione o il capo li tragga dalla propria parte.
2)     Deve essere trasparente e comprensibile, niente sfoghi emotivi ma fatti dati e date verificabili.
3)     Deve essere una rivendicazione di dignità e non una sorta di “mea culpa” o il mendicare la pietà altrui.
4)     Deve essere un atto di disobbedienza, la denuncia non è un colpo di testa ma una parte della lotta finalizzata al contenimento o all’eliminazione del mobbing.
Oltre a tutto ciò esistono le vie legali, che di solito, sono l’ultima soluzione, qualora non si sia potuto giungere ad un composizione “pacifica” della questione.
Tuttavia occorre tener presente, che attualmente, in Italia, non c’è una legislazione Antimobbing, a parte qualche sentenza passata in giudicato, quindi le vie legali sono una soluzione parziale, in quanto non c’è una legge che condanni la molestia morale in quanto tale. Le vie legali però consentono il risarcimento dei danni fisici e morali subiti a seguito del mobbing.
Tuttavia, anche se manca una legge specifica, il lavoratore può fare riferimento allo Statuto dei Lavoratori – Legge N° 300 del 1970 e precisamente a :
Art. 9: Tutela della Salute e dell’Integrità fisica.
Art.15: Atti discriminatori “per motivi politici e religiosi”.
Art. 18: Reintegrazione nel posto di lavoro, nel caso di ingiusto licenziamento
Il “mobbizzato” ha a disposizione strumenti legislativi, nel caso in cui la persecuzione psicologica porti a malattie professionali: Gli abusi vengono difatti equiparati a lesioni personali colpose. Si può fare riferimento a:
Legge 626/94 – Sulla sicurezza nei luoghi di lavoro
Art. 2087 – Codice Civile: Obbligo del datore di lavoro di tutelare la salute fisica dei dipendenti.
Per superare l’inadeguatezza della legislazione occorre rivolersi ad un legale, tenendo presente che bisogna raccogliere tutto il materiale scritto, documenti ufficiali ed ufficiosi prodotti, schede con sintomi psicofisici e delle azioni mobbizzanti, fornire il materiale in ordine cronologico.
E’ superfluo dire che bisogna evitare di rivolgersi a studi legali che siano collegati con l’azienda o col datore di lavoro.
Quanto detto è tutto ciò che si può fare per contrastare il mobbing, non è molto a dire il vero e la strada non è né facile né breve, ma è forse l’unica arma che i lavoratori hanno per impedire che le aziende usino le molestie morali, per sfoltire gli organici dei dipendenti o per eliminare i dipendenti scomodi.
 
Ignazio Lavagna (USI Genova)

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