IL COMANDO D’IMPRESA NELLE ATTUALI POLITICHE LIBERISTE E DI GUERRA

Sin dall’inizio del secolo scorso la legislazione del lavoro si era sviluppata partendo dall’ovvia considerazione dello squilibrio di potere contrattuale esistente tra lavoratore e datore di lavoro e gli strumenti utilizzati per bilanciare questo squilibrio sono rappresentati da una serie di principi che negli ultimi tempi stanno subendo attacchi gravissimi da parte del capitale e del governo che lo rappresenta.
I pilastri portanti sono essenzialmente due: un primo, è rappresentato dall’individuazione di diritti del lavoratore indisponibili così da rendere nullo ogni eventuale patto contrario imposto dal datore di lavoro (si tratta ad esempio del diritto al riposo settimanale, alle ferie, alla irriducibilità della retribuzione, alla contribuzione previdenziale, al mantenimento della professionalità raggiunta, all’attività sindacale, alla tutela della maternità, ecc.); l’altro pilastro è stato la creazione, a partire dal 1973, di un rito speciale più celere e privo sostanzialmente di costi per il lavoratore, così da rendere effettivi tali diritti attraverso la loro azionabilità.
Come ho già avuto modo di evidenziare in sede di primo esame del c.d. collegato al lavoro (rinvio al precedente articolo di Lotta di Classe sul tema, n. 115 del marzo-aprile 2010) – in seguito divenuto la legge n. 183/2010, che è entrata in vigore lo scorso 24 novembre 2010 – l’effetto dirompente di tale provvedimento è proprio quello di attaccare questi due pilastri.
Infatti, se da un lato la gratuità del processo del lavoro rischia di essere vanificata dalla possibilità, ora prevista per legge, di demandare la risoluzione delle controversie di lavoro ad arbitri, cioè giudici privati che ciascuna parte deve pagare di proprie tasche (e che potranno anche discostarsi dalle norme di legge e decidere secondo equità), dall’altro la fissazione di termini stringenti di decadenza, per impugnare qualsiasi tipo di licenziamento illegittimo (anche verbale o nullo), i contratti a termine (sia diretti che somministrati), le altre forme di precariato (collaborazioni a progetto, intermediazioni illecite di manodopera, ecc.), i trasferimenti (del singolo lavoratore o dell’intera azienda), sembra operare come un condono preventivo dei comportamenti illegittimi del datore di lavoro, poiché preclude al lavoratore, superati tali termini, di accedere alla tutela giudiziaria ancorchè siano in gioco diritti indisponibili.
Rinviando ai precedenti numeri di lotta di classe l’analisi dettagliata del collegato lavoro, mi soffermo ora su un punto specifico ovvero la possibilità di deroga alla legge da parte dei contratti collettivi e del contratto individuale di lavoro, poiché si tratta di un aspetto che già è emerso nella legge 183/2010 ma che ha ottenuto ulteriori rafforzamenti nel recentissimo “accordo” di Mirafiori e che si preannuncia essere un elemento qualificante lo Statuto dei lavoratori attualmente al vaglio dalle forze di governo.
La possibilità di derogare alle previsioni della contrattazione collettiva da parte del contratto individuale è stata sancita dalla l. n. 183/2010 con l’ampia estensione dell’utilizzo della certificazione dei contratti di lavoro, già prevista dalla legge Biagi: si tratta di una procedura dove impresa e lavoratore sottoscrivono insieme la validità e la correttezza di legge di un contratto e che dietro l’apparente volontarietà delle parti agisce come strumento di ricatto che il padrone utilizza per mettersi al riparo da future vertenze, rendendo più complicata l’impugnazione dei contratti di lavoro, soprattutto se si tratta di contratti atipici, precari o con clausole aggiuntive alle norme (dai contratti a progetto ai regolamenti per i soci lavoratori di cooperativa). Attraverso questa procedura è ora consentito di introdurre nel contratto individuale:
a) la clausola compromissoria (quella in base alla quale si dice che in caso di controversia il lavoratore non si potrà rivolgere ad un giudice ma ad un arbitro privato) e sebbene l’attuazione di tale norma è demandata alla contrattazione collettiva, è espressamente previsto che se ciò non avvenga entro 12 mesi il Ministero del lavoro convoca le parti per un eventuale accordo e se ciò non avviene sarà lo stesso ministero ad emanare un decreto attuativo;
b) inoltre può essere certificato ogni aspetto del rapporto di lavoro (dalla motivazione della scadenza del contratto, alla flessibilità/elasticità del part time, alle causali della somministrazione, alle causali del licenziamento ecc..) e così se fino ad oggi il contratto individuale di lavoro era volto unicamente a disciplinare gli aspetti essenziali del rapporto (mansioni, inquadramento, patto di prova, orario di lavoro), rinviandone la regolamentazione dei diversi aspetti al contratto nazionale di categoria, è ora riconosciuta alle parti (e quindi alla parte più forte del rapporto il datore) la possibilità di inserire clausole che possono estendere le tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo di licenziamento, inserendo una regolamentazione individuale del rapporto anche difforme da quella prevista dal contratto collettivo nazionale.

Se nella legge 183/2010 la derogabilità alla contrattazione collettiva poggia sull’ipocrita assunto di una supposta parità tra lavoratore e datore di lavoro, con l’”accordo” siglato il 23 dicembre 2010 per lo stabilimento Fiat di Mirafiori in relazione alla joint venture Fiat- Chrysler viene scalfita la stessa funzione della contrattazione collettiva nell’ottica di stabilire, esplicitamente e senza travisamenti di sorta, un comando d’impresa assoluto e smisurato, relegando i sindacati collaborazionisti a tutori dell’ordine aziendale.
Non entrerò nell’analisi dettagliata dell’accordo ma per dare contezza di quanto sto dicendo è opportuno innanzitutto evidenziare come l’accordo preveda due fasi: una transitoria e una successiva e definitiva.
A fronte di un investimento da parte di Fiat solo preannunciato (perchè nell’accordo non v’è traccia di alcun obbligo concreto da parte di Fiat in tal senso), gli unici elementi certi della fase transitoria sono l’apertura di licenziamenti collettivi e il ricorso alla Cassa integrazione straordinaria per tutto il personale per la durata di un anno a partire dal prossimo 14 febbraio 2011.
Chiarita quale sarà la sorte del personale per tutto il 2011 e appurato che, ancora una volta, Fiat attingerà dalle casse dello stato per rilanciare lo stabilimento, viene affrontata la fase definitiva: il personale dello stabilimento di Mirafiori verrà assunto dalla Join Venture Fiat Chrysler con cessione del contratto individuale e, sebbene l’attività della Joint Venture sia sempre la stessa (rimanendo inalterati lo stabilimento, il personale, l’attività merceologica, il marchio, il capitale di riferimento della holding), è espressamente previsto che non sarà applicato l’art. 2112 c.c., cioè di quella norma che ha proprio la finalità di apprestare una tutela effettiva del lavoratore in caso di trasferimento d’azienda mantenendo inalterati i rapporti di lavoro esistenti al momento del trasferimento e i diritti che ne conseguono.
Alla domanda di come mai l’accordo menta così spregiudicatamente quando dice che non si applicherà l’art. 2112 c.c., la sola risposta possibile è che l’azienda vuole costringere i lavoratori già dipendenti Fiat da decenni a firmare nuovamente un contratto di assunzione e tale costrizione è dettata dalla necessità che il nuovo contratto individuale estinguerà e sostituirà il precedente, conterrà l’intero accordo e farà quindi sì che vi sarà coincidenza perfetta tra contratto collettivo, contratto individuale e comando di impresa. Così recita espressamente l’art. 2 dell’accordo laddove afferma che “le clausole del presente accordo integrano la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro …sicchè la violazione da parte del singolo lavoratore di una di esse costituisce sanzione disciplinare”: in altri termini la violazione di un anche una sola clausola dell’accordo costituisce infrazione disciplinare da cui può derivare perfino il licenziamento.
Senza ora diffondersi in disquisizioni giuridiche sulla differente natura di contratto collettivo e contratto individuale, l’intento dichiarato di Fiat e organizzazioni sindacali collaborazioniste è perciò quello di annullare la volontà del singolo individuo e stabilire un potere di comando assoluto sull’organizzazione del lavoro (ritmi di lavoro, turni, orario, mobilità, assenze) e sui corpi dei lavoratori.
E se il potere sui corpi dei subordinati non ha nulla di nuovo, la novità è soprattutto nell’eliminazione di ogni ipocrisia rispetto al ruolo che Fiat intende dare al sindacato: viene infatti stabilito che la Joint Venture non aderirà al sistema confindustriale e applicherà un contratto collettivo specifico che includerà unicamente quanto convenuto con la presente intesa. L’intento di Fiat è quello di liberarsi di ogni altra forma di contrattazione nazionale, ponendosi al riparo da eventuali interferenze derivanti dal complesso delle relazioni industriali a livello nazionale e chiedendo ai sindacati collaborazionisti di svolgere un ruolo che non sia quello di rappresentare le istanze del lavoro nel confronto/conflitto con chi lo utilizza nell’esercizio dell’impresa, ma quello di “trovare soluzioni coerenti con gli obiettivi condivisi” (con l’impresa) e quindi sindacati e direzione “assumono la prevenzione del conflitto come un reciproco impegno su cui il sistema partecipativo si fonda”.
Mai è stato detto con così esplicita chiarezza che il ruolo del sindacato sia quello di bloccare il conflitto e solo a queste condizioni ai sindacati firmatari – e solo a questi – viene riconosciuta la possibilità di costituire le rappresentanze sindacali aziendali di cui all’art. 19 SL con le conseguenti prerogative sindacali, utilizzando dunque, per l’esclusione dei sindacati non firmatari, quello stesso meccanismo con cui tutte tre le OOSS confederali hanno sempre cercato di impedire ogni forma di rappresentanza sindacale ai sindacati di base.

E se quello della totale subordinazione al comando d’impresa è il ruolo che Fiat pretende per il sindacato e la contrattazione collettiva (va evidenziato che il testo di Mirafiori non è affatto frutto di un accordo fra contrapposti interessi bensì una firma per adesione ad un testo unilateralmente predisposto dalla parte datoriale), non stupisce il plauso con cui cui è stato accolto dal governo, il cui ministro Sacconi proprio lo scorso novembre ha presentato alle parti sociali la bozza di “Statuto di lavori” dove, non solo viene espressamente riconosciuta la possibilità di deroga alle norme di legge ad opera della contrattazione collettiva ma ciò che emerge con assoluta chiarezza è proprio l’esorcizzazione del conflitto valorizzando il ruolo e le funzioni degli organismi bilaterali.
Se in epoca fascista le organizzazioni sindacali ricevevano riconoscimento per decreto, previo positivo giudizio circa la compatibilità dei loro obiettivi con il sistema corporativo e con il fine superiore della prosperità dell’economia nazionale, le attuali politiche liberiste e di guerra pretendono la complicità del sindacato a fungere da impresa meramente erogatrice di servizi per garantirsi rapporti di lavoro sempre più individualizzati e una gestione totale dei corpi dei subordinati.

Melissa Mariani

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