Storia degli anarchici a Monfalcone

 

Venne dal Carso la bomba destinata al Duce

Lo storico Meneghesso riscostruisce le vicende degli anarchici bisiachi a inizio ’900. Incluso l’attentato a Mussolini del ’26

di Giovanni Tomasin

 

Anarchismo monfalconese. L’abbinamento delle due parole potrà sembrare strano in una città operaia che nella seconda metà del Novecento ha visto le grandi lotte politiche e sindacali svolgersi sotto le bandiere rosse del partiti comunista e socialista. Eppure vi fu un tempo, fra la nascita del cantiere nel 1907 e l’affermarsi del regime fascista, in cui i vessilli neri degli anarchici rispondevano alle istanze più libertarie ed incendiarie degli operai, raccogliendo attorno a sè ampio consenso: la loro è una storia di impegno politico e culturale, di scioperi, di soprusi padronali, di atti di violenza. Una vicenda piccola, forse, che si inserisce però nel contesto ampio di uno dei periodi più complessi della storia europea: è da Monfalcone, ad esempio, che partirono le bombe con cui l’anarchico Gino Lucetti nel 1926 attentò alla vita di Benito Mussolini. Questa storia perduta è stata dissepolta, come un’ascia di guerra, dallo storico Luca Meneghesso (udinese ma residente a Monfalcone) in una tesi di laurea intitolata “Per una storia degli anarchici a Monfalcone (1908-1926)”, relatore Claudio Venza. Andando a spulciare tra le riviste dei movimenti dell’epoca, negli schedari dello spionaggio di regime, parlando con i discendenti dei protagonisti e con chi poteva riportare testimonianze quasi dirette, Meneghesso ha posto le basi per una storia dell’anarchismo in Bisiacaria agli inizi del Novecento, e ricostruito le vicende delle prime battaglie sindacali del cantiere di Monfalcone.

Nasce il cantiere «Quando i Cosulich decisero di costruire il cantiere da queste parti – spiega Meneghesso -, uno dei fattori che contribuirono alla scelta del luogo fu il carattere rurale dell’area: pensavano che i contadini fossero politicamente meno pericolosi della manodopera di Muggia, più qualificata ma più attiva». La scommessa dei Cosulich si dimostrò sbagliata, e i contadini della Bisiacaria e della Bassa friulana, vestite le tute degli operai, mostrarono da subito una certa predisposizione alla lotta sindacale. Un ambiente in cui le idee anarchiche trovavano un ideale brodo di coltura.

Gli scioperi per Ferrer «È significativo che il primo sciopero politico del cantiere – spiega Meneghesso – si sia svolto il 15 ottobre del 1909, per protestare contro l’ esecuzione in Spagna del pedagogista libertario Francisco Ferrer». La fucilazione del rivoluzionario spagnolo generò un’ondata di proteste in tutta Italia: «La manifestazione di Monfalcone non deve essere stata molto pacifica – scrive Meneghesso – visto che quasi tutto il gruppo dirigente socialista viene incarcerato e 13 operai vengono in seguito rinviati a giudizio». Nel primo anniversario della morte di Ferrer i socialisti optarono per una commemorazione più pacata, una riunione serale dopo il lavoro. I libertari, che il socialista Luigi Tonet definì «un gruppo di sconsiderati», incitarono però gli operai a lasciare il posto di lavoro: dopo un po’ di dibattito il cantiere si svuotò. In seguito i socialisti accusarono gli anarchici di aver usato il nome di Tonet per convincere gli indecisi (è facile immaginarli: «ga dito Tonet de scioperar!»). La cosa si ripetè l’anno successivo, con il medesimo risultato. Tanto che i socialisti, scrive Meneghesso, accusarono gli anarchici «con frasi forti di essere fannulloni che colgono qualsiasi occasione per fare festa e andare a bere il vino nuovo».

Il caso König Non erano tempi facili. Si fronteggiavano i soprusi sul posto di lavoro e la violenza operaia. È significativo il caso del caposquadra boemo König, i cui metodi suscitarono violente proteste negli operai. L’operaio di origine dalmata Matteo Silgig, dopo un licenziamento ingiustificato, arrivò a prenderlo a rivoltellate. Poi, credendo d’averlo ucciso, si tagliò la gola con un rasoio. Gli operai reagirono con una manifestazione spontanea e poi con un corteo funebre con tanto di comizio.

Lo spazzacamino anarchico La storia degli anarchici monfalconesi è fatta anche da personaggi le cui biografie, dal pittoresco al tragico, Meneghesso ha ricostruito con accuratezza, laddove le fonti lo consentivano. A dispetto della scarsezza di informazioni, il ricercatore delinea con efficacia la figura di Ermenegildo Gon, uno degli anarchici più rappresentativi del panorama bisiaco: «Dipinto come inafferrabile spazzacamino che propagandava le proprie idee libertarie ed antifasciste girando di casa in casa». Esule in Francia per un periodo durante il regime, era un cardine dell’anarchismo monfalconese ancora nel secondo dopoguerra, quando la sua casa fu oggetto di un attentato bombarolo.

Il fascismo L’avvento del fascismo segnò il forzato declino del movimento anarchico a Monfalcone: violenze, schedature, persecuzioni costrinsero i libertari al silenzio o all’esilio. I singoli sopravvissuti al regime e alla Seconda guerra mondiale continuarono anche in seguito a testimoniare la storia del movimento, ma dagli anni Quaranta in poi le bandiere nere non riuscirono più riprendere il seguito di un tempo: il mondo era cambiato. Un passaggio di rilievo riguarda il fallito attentato di Lucetti a Mussolini: gli ordigni usati dall’anarchico contro il dittatore gli erano stati forniti, attraverso un tramite, dal triestino Umberto Tommasini, e provenivano dal Carso monfalconese. Con tutta probabilità era stato qualche anarchico monfalconese a raccoglierle, senza immaginare a cosa sarebbero servite. Ma la conclusione più adatta a questa storia è forse quella dei tre anarchici catalani che in modo rocambolesco si unirono alla Resistenza nella brigata Fontanot: insegnarono ai partigiani comunisti una canzone anarchica che questi cantarono entrando a Monfalcone il 1 maggio 1945.

Da Il Piccolo, 10 Febbraio 2014, pagine 1 e 18

Gorizia-Monfalcone

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